Forno per Pizza: a legna, gas o elettrico? Pro e Contro di ciascuno

le caratteristiche tecniche di queste diverse "tecnologie", spiegate nel dettaglio

Rubrica di Alessandro Trezzi — 1 anno fa

In una tra le culture enogastronomiche più varie e diversificate al mondo, la pizza rappresenta uno dei piatti maggiormente rappresentativi per il nostro paese. Figlia (anche) del pane, spesso non è facile definirne l’origine tra miti, leggende e racconti popolari (a proposito, leggete le prime apparizioni in video della pizza, da Totò negli anni 40 fino ai documentari degli anni 60, oppure ancora le prime testimonianze scritte sulla pizza, dai libri del 1500 a quelli del 1800.
Che si trattasse di un espediente utile a testare la temperatura del forno, o di un modo per condire del pane basso in modo da regalare un pasto ben più gustoso e sostanzioso ai poveri viandanti, la pizza è senza ombra di dubbio nata e cresciuta come prodotto artigianale, caratterizzata da una combinazione di tre parti fondamentali di un processo: impasto, condimento e cottura.

Nel particolare la cottura di un prodotto dell’arte bianca ha da sempre suscitato un romantico fascino verso il pubblico.
Oggi, con l’evoluzione delle tecniche, le scoperte scientifiche e tecnologiche, l’accrescere di conoscenza e consapevolezza e lo studio teorico verso materie prime e processi produttivi, il mondo gastronomico è letteralmente esploso, trasformando la cucina in business, i pasti in esperienze e il cibo in sogno. E la pizza, fortunatamente, è stata investita dal medesimo boom evolutivo.
Vale per gli impasti, per le tecniche di condimento, per i mulini e le farine, ma anche per gli strumenti necessari alla cottura dei panificati: i forni.
Oggi esistono molteplici tipologie di macchine, adatte a determinati scopi o modulabili a seconda del fine, e soprattutto facenti uso di diverse fonti di alimentazione, in base alle quali è possibile distinguere tra forni a legna, a gas ed elettrici (a proposito, leggete il nostro approfondimento Forno elettrico e pizza napoletana: parola ai Pizzaioli, Tecnici, Associazioni.).

In origine fu la legna

Diatribe, tradizionalismi, dogmi e tradizione: il mondo della pizza è colmo di faide e fazioni, scontri generazionali, confronti tra uno e l’altro metodo. Ma sul tema del forno tante sono le lotte, le discussioni e le leggende metropolitane.
Spesso avrete sentito dire che la pizza, soprattutto quella napoletana, è tale solo ed esclusivamente se cotta in un forno a legna, divenuto ormai sinonimo di qualità, di professionalità e di artigianalità del prodotto stesso.
Del resto se provate a chiudere gli occhi pensando ad una pizza, la prima immagine che in tutta probabilità vi salta alla mente è quella di una fumante tonda sfornata da una camera nella quale arde una fiamma alta e potente.
Non c’è immagine più rappresentativa, nella maniera più assoluta.
E tuttavia, oggi come oggi associare la bontà di una pizza alla cottura del forno a legna è da considerarsi un concetto superato e per giunta parecchio impreciso. La frase “quella pizzeria ha il forno a legna, vuol dire necessariamente che la pizza sarà buona” è un preconcetto che occorre superare nell’immediato.
Senza ombra di dubbio, il forno a legna (e i forni a carbone in via più generale) è tra i metodi di cottura più antichi in assoluto per un panificato (e non solo), ed è proprio questo il nostro punto di attenzione: un tempo il forno a legna non si usava perché superiore ai modelli elettrici o a gas, ma perché esisteva solo quello.

L’evoluzione dei forni

Con il sopraggiungere di strumenti ad alimentazione diversa, il panorama iniziò a cambiare in maniera graduale.
Certo è che per determinate tipologie di pizza la legna continuava ad essere l’unico combustibile in grado di soddisfare, a costi relativamente contenuti, alcuni prerequisiti fondamentali.
Prendete ad esempio la pizza napoletana, un prodotto morbido e scioglievole, la parte centrale di un paio di millimetri e il cornicione gonfio e pieno d’aria; per ottenere simili caratteristiche la cottura deve essere necessariamente violenta, tra i 450 e i 500 °C, per un tempo che varia tipicamente dai 60 ai 90 secondi. In forni appositamente costruiti, la legna era l’unico combustibile con il quale era possibile raggiungere una simile temperatura.
E ancora, pensate al trancio milanese o al ruoto partenopeo, pizze ben più alte ma altrettanto goduriose, cotte a 400 °C come spesso i fornai tramandano.
Oggi non è più così: nei tempi più recenti aziende specializzate nella produzione di forni per l’arte bianca sono state in grado di sviluppare tecnologie strabilianti, in grado non solo di migliorare il rendimento dei modelli a legna, ma anche di immettere sul mercato i fratellini a gas e a energia elettrica, con i quali è ormai possibile raggiungere temperature elevate e sfornare quindi le medesime tipologie di prodotti.

Romanticismo? Legami affettivi?
Sono concetti fantastici, ma a contare è solo ed esclusivamente il risultato finale, non trovate?

Personalmente, ho mangiato pizze spettacolari da maestri in grado di gestire il forno a legna con un’abilità impressionante, sfruttandone ogni caratteristica al meglio per far uscire prodotti sempre uguali e uniformi. Ma ho anche assaggiato pessime realizzazioni, specialmente da coloro che decantavano l’uso della legna quasi costituisse automaticamente una garanzia di qualità; e tuttavia, gestire un forno simile non è affatto semplice per una serie di motivi.
Al tempo stesso, ho mangiato pessime pizze in modelli elettrici o a gas, testimonianza del fatto che l’unica vera discriminante è la cura e la capacità del fornaio, oltre ovviamente alla qualità dello strumento utilizzato.

La trasmissione del calore

Prima di dare una panoramica sulle tre principali tipologie, è utile comprendere realmente cosa accade dal momento in cui un qualsiasi lievitato entra in una camera di cottura, fino a quando non viene prelevato dalle mani del fornaio.

A rendere perfetta ed efficace la cottura di un panificato non è il combustibile, ma la combinazione accurata di tre metodologie differenti di trasmissione del calore:

Conduzione termica: è lo scambio di calore che avviene (per il secondo principio della termodinamica) tra un corpo più caldo (la pietra, il piano refrattario o una teglia) e uno più freddo (la pizza).

Irraggiamento termico: è il trasferimento di energia che avviene tra due corpi tramite le onde elettromagnetiche generate, in questo caso, dalla resistenza di un forno elettrico o dalla fiamma di un modello a legna o a gas, e in misura minore dalla pietra e dall’acciaio incandescente.

Convezione termica: tale fenomeno avviene quando un fluido (come l’acqua o l’aria) entra in contatto con un corpo la cui temperatura è maggiore del fluido stesso. Aumentando di temperatura per conduzione, il fluido a contatto con l’oggetto si espande e diminuisce di densità, ed essendo meno denso del fluido, sale a causa della spinta di Archimede generando così moti convettivi, in cui il fluido caldo sale verso l’alto e quello freddo scende verso il basso (convezione naturale). Di fatto, nient’altro è che il ricircolo di aria calda generato dalla fonte di calore, fiamma o resistenza che sia.


Cuocere alla perfezione vuol dire combinare in maniera perfetta queste tre componenti, che coesistono contemporaneamente in ogni modello, e che sono fondamentali per un prodotto finito asciutto, caramellato e ben digeribile.
Se il piano (la cosiddetta platea) sarà troppo alto in rapporto all’aria calda che circola o all’intensità della fiamma o della resistenza, la base della pizza brucerà prima che la parte superiore sia pronta e la mollica asciutta; al contrario, se la fiamma sarà troppo alta e la pietra non ancora a temperatura, avremo un cornicione carbonizzato prima che la base sia cotta, specialmente in casi di processo violento come quello della napoletana.

Componente importantissima è la convenzione, specialmente in modelli a cottura indiretta (dove l’irraggiamento è bloccato e le onde elettromagnetiche non investono la pietanza); e tuttavia, anche in situazioni di cottura diretta, l’aria calda che circola nella camera contribuisce alla perfetta realizzazione di un pane o di una pizza.

L’importanza della struttura di un forno

Al contrario di quanto si creda, il forno a legna per pizza napoletana è il perfetto esempio di moto convettivo naturale.
Assumendo per ipotesi che la realizzazione sia stata fatta con criterio, la presenza di una bocca e di una canna fumaria contribuiscono a generare il sufficiente ricircolo senza che sia necessario nessun sistema di ventilazione artificiale: l’aria fredda entra dalla bocca, si scalda, diminuisce di densità e sale verso l’alto grazie alla spinta di Archimede, mentre i fumi esausti escono dalla canna fumaria. Nonostante la capacità di accumulare calore dell’aria sia limitata, tale ricircolo contribuisce a mantenere uniforme la temperatura di cottura in ogni parte del forno.
Se la bocca è piccola, come nei forni napoletani, la dispersione è molto bassa in rapporto a quanta aria viene “risucchiata” e buttata nella canna.
Certo, in caso in cui la pizza si trovi molto vicina alla fiamma, l’irraggiamento rivestirà una componente preponderante, ma ciò non significa che i moti convettivi non siano né presenti né influenti.
Di fatto però, la scelta del refrattario come materiale di costruzione dei forni, della camera, del piano e della volta non è data dal coefficiente di emissività termica (la misura dell’energia irraggiata dal materiale), ma più che altro dalla sua inerzia termica molto alta, utile a lasciare un ambiente caldo più a lungo a fronte di un tempo più elevato necessario al riscaldamento.

La progettazione di un forno è, ovviamente, una componente importantissima per garantire il rendimento in cottura, un minor consumo di combustibile o energia e una miglior coibentazione; la posizione e la dimensione della porta, la sezione della canna fumaria e la sua altezza dal piano di ingresso dei fumi, l’utilizzo di materiali solidi, resistenti e duraturi, oltre al corretto dimensionamento di camera o cupola che deve garantire che temperatura e irraggiamento siano uniformi in tutta l’area.

La classica forma a cupola si presta all’ottimizzazione della cottura per una serie di ragioni.

Anzitutto, le forme curve aiutano i moti convettivi dell’aria a raggiungere tutti i punti del forno, senza lasciare spazi freddi. Inoltre, tale conformazione assicura che il calore assorbito dalla muratura e riflesso dalla fiamma venga riflesso per irraggiamento in maniera uniforme.
Per raggiungere il medesimo scopo in sezioni quadrate o rettangolari è necessario prevedere particolari accortezze, come resistenze disegnate in maniera da garantire un equilibrio nella distribuzione del calore.
Esistono ovviamente proporzioni da rispettare anche nei forni a cupola: un forno con una bocca troppo alta rispetto all’altezza della cupola perderà troppo calore attraverso la bocca, mentre un forno con una cupola troppo alta rispetto alla bocca del forno rischierà di avere dei punti alla sommità che non saranno mai completamente scaldati.
Forni a volta bassa si scaldano e cuociono quindi più rapidamente, in ragione anche della minor distanza dei cibi dalla fonte di irraggiamento costituita dalla volta. Forni a volta alta richiedono più tempo e combustibile per essere scaldati, ma si mantengono caldi più a lungo.
Capirete quindi come, ovviamente, la prima tipologia di forni sia più indicata per la pizza napoletana, mentre i secondi per il pane. Stiamo parlando però di struttura, non di alimentazione, ed esistono infatti modelli a volta bassa elettrici o a gas, in grado di raggiungere e superare i 450 °C in tempi molto brevi.

Ma quali sono quindi pregi e difetti di ogni modello?

Il forno a legna

Il modello in assoluto più storico e longevo, simbolo della cottura verace, iconografico, motivo di profondo orgoglio dell’artigianato partenopeo.
A meno di configurazioni particolari, nella maggior parte dei casi la fonte di calore (la legna che arde) è localizzata e posizionata nella camera di cottura. Il combustibile viene acceso e spostato a lato del forno, mente lo sportello consente di tarare l’ingresso del comburente (ossigeno) necessario per tenere la fiamma alimentata.
Per ragioni di rendimento e di norme HACCP, la legna utilizzata deve rispettare precisi parametri, oltre ad essere stagionata, pulita e asciutta, al fine di evitare la formazione di fumo nocivo.
Il combustibile più utilizzato è il faggio, dall’ottima resa e dalla fiamma vivace e duratura. Ottima è anche la quercia, soprattutto per la tendenza a generare una brace costante, e che tuttavia presenta un costo decisamente più elevato. Sono da evitare tutti i legni che tipicamente creano scintille (come la robinia), in quanto finirebbero sulla pizza durante la cottura.
Altri legni usati sono, oltre a faggio e quercia, frassino e acero.
In commercio esistono degli ottimi tronchetti di legno compresso, a norma HACCP, utilizzati dai pizzaioli per la loro enorme comodità: sono di sezione regolare, consentono di ottimizzare lo spazio e durano in media molto più a lungo di un legno delle stesse dimensioni. Per altro, vi sono modelli forati per un’accensione più rapida, e altri progettati appositamente per generare brace.

La fiamma, una volta accesa, scalda la camera per irraggiamento; il materiale refrattario immagazzina calore e lo mantiene per un lungo periodo grazie alla sua elevata inerzia termica. Ovviamente, come in tutti i modelli dotati di una sorgente di calore localizzata, difficilmente la trasmissione del calore conferita per conduzione dalla platea sarà più elevata di quella ceduta per irraggiamento e convezione, motivo per cui simili forni ben si prestano alla cottura della napoletana, del pane o della pizza alla pala, ma risultano più ardui da gestire per le preparazioni in teglia, dove la temperatura in platea è più alta di quella del cielo, in modo da conferire la giusta spinta dal basso, scaldare prima la teglia e poi la pizza e ottenere un fondo croccante.

I pregi di un simile modello risiedono nel suo costo tipicamente più basso sia di investimento che di alimentazione, in quanto la legna è decisamente più economica.

Di contro però, la gestione di un forno a legna non è per nulla semplice come spesso si vuol far credere.

Pizza cotta nel forno a legna

Serve tecnica ed esperienza per accendere la legna, per mantenere la fiamma e per uniformarne il più possibile l’intensità; specialmente nelle tipologie di pizza che richiedono alte temperature, il crucio sta nell’accertarsi che la legna arda sempre della stessa intensità, alimentando continuamente la brace per evitare che la temperatura cali e con essa il rendimento in cottura.
Vi basti pensare ai pizzaioli più celebri, che dedicano una figura professionale alla sola gestione del forno per disporre sempre di un occhio vigile e costante. Volenti o nolenti tuttavia, per quanto si sia bravi a equilibrare l’altezza e l’intensità della fiamma e per quanto il forno possa essere ben progettato, l’uniformità di cottura sarà sempre meno ottimale di un modello ad alimentazione diversa. Ad esempio, spesso e volentieri (specialmente nella tradizione napoletana) il pizzaiolo è solito aggiungere trucioli di legno per una rapida fiammata ed un innalzamento di temperatura.
E attenzione, non vuol dire che il risultato sia migliore o peggiore, ma semplicemente che per essere standardizzato richiede competenze ben più elevate e una risorsa dedicata all’alimentazione, gestione e pulizia del forno.

Stiamo parlando di uno strumento romantico, eterno e senza dubbio affascinante, sul quale tuttavia aleggiano una serie di leggende metropolitane e di dicerie infondate, prima tra tutte la questione “aroma da legna”: per questioni di sicurezza alimentare, come già affermato, la legna deve produrre meno fumo possibile e quindi essere asciutta, stagionata e pulita, ma soprattutto la pizza deve sostare in una zona libera dalle emissioni generate. Inoltre, i 60-90 secondi di cottura tipici di una napoletana non sono sufficienti per permettere al semilavorato di catturare e mantenere gli odori del fumo, anche ammesso che sia presente e che investa letteralmente la pizza stessa.
Vi basti pensare al barbecue americano, dove i pitmasters impiegano ore per affumicare grossi pezzi di carne, a temperatura bassa e controllata e in condizioni di leggera umidità.

Il forno a gas

Successori del forno a legna, i modelli a gas nascono per facilitare la gestione complessa dei fratelli maggiori.
Gli scopi e le modalità di utilizzo per tipologia sono ormai pressoché identiche, in quanto ad oggi, a fronte di una progettazione accurata, sono in grado di raggiungere anche i 500 °C in poco tempo.
La fonte di combustibile può essere un attacco classico del gas o una bombola, per modelli trasportabili, alimentata a GPL o Metano.

I pregi risiedono in una gestione praticamente immediata, una fiamma uniforme per intensità e, se i bruciatori sono posizionati in linea retta, anche per altezza e distribuzione del calore. Non richiedono pulizia (se non quella della farina rimasta sul piano) e basta una manopola per effettuare l’accensione e regolare l’intensità della fiamma.

D’altra parte, il costo di investimento è tipicamente più elevato a causa dell’impianto più complesso.

Una pizza cotta nel forno a gas

Il forno elettrico

Figlio degli ultimi tempi, il forno elettrico è probabilmente il modello che tra tutti ha subito il maggior quantitativo di migliorie tecnologiche.
Di base il funzionamento è relativamente semplice, e prevede l’utilizzo di circuiti elettrici con elementi resistivi di forme ben specifiche, che si scaldano portando a temperatura desiderata l’ambiente stesso. Nei modelli più conosciuti, di forma rettangolare, una resistenza è posta sotto il piano refrattario e una è scoperta e visibile sul cielo, la parte superiore del forno; in questo modo è possibile regolare e modulare con enorme precisione la cottura sia della platea che del cielo e adattarla alle varie tipologie di prodotto da realizzare.
Grazie a uno studio accurato delle resistenze, è possibile inoltre far si che il calore ceduto per irraggiamento copra in maniera uniforme tutta la superficie, garantendo una distribuzione equilibrata delle tre modalità di trasmissione già citate, e quindi una cottura gestibile, verificabile e costante in tutti i punti.
Sviluppi molto recenti inoltre hanno permesso il raggiungimento di temperature molto elevate, fino ai 550 °C, a fronte di un consumo di energia sempre più ridotto e ottimizzato negli spazi e nei costi; grazie a tale miglioria, oggi è possibile cuocere pizze napoletane perfette anche in un forno elettrico.
Di contro, il costo di impianto è molto elevato e non sempre accessibile, e come tale anche quello di alimentazione, specie per modelli dall’alto consumo in kW.

Una pizza cotta nel forno elettrico

[Crediti: Giovanni Tesauro, Giuseppe Ghidorzi, Alfredo Neri]

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Ci sono 3 commenti

Dario Vacchiano

Articolo molto interessante.

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