Le proroghe del Governo riguardo l’emergenza Covid-19 sono scattate e si prevede una chiusura totale almeno fino al 13 aprile. Non una bella notizia per i ristoratori, che dovranno accontentarsi di far cassa con l’asporto giornaliero, almeno nelle regioni in cui è permesso. Ricordiamo che in Campania il delivery non è possibile e questo – de facto – ha decretato tutte le serrande chiuse. C’è molto risentimento anche intorno chi, come i panifici, si azzarda a preparare dei cibi che esulano dal semplice pane fresco (sebbene ne abbiano i codici ATECO necessari).
La domanda che attanaglia tutti, trasversalmente, è una: che ne sarà di noi? Ecco, una grande verità che dobbiamo accogliere è che nessuno sa con precisione cosa ci sarà nel futuro prossimo della ristorazione, pizzerie in primis. Ma oltre le pizzerie, c’è un altro settore che risente moltissimo della crisi: parliamo del fine dining. Per chi non è pratico, il fine dining (che molti chiamano anche “stellati”, ma non tutto il fine dining ha riconoscimenti di guida) funziona prevalentemente su prenotazione, alcune anche a distanza di mesi e mesi. Avere un ristorante stellato in una città o un paese, di questo o quello chef, può essere motivo di turismo gastronomico. Facile immaginare come, nel momento in cui il turismo si ferma, si fermi anche la macchina del fine dining. Fine dining che, al netto di un prezzo più corposo (ma non sempre, e non necessariamente) permette delle esperienze gastronomiche “singolari” per i più curiosi. Spesso, il fine dining è tacciato anche di “snobismo” nei confronti della cucina tradizionale (che poi, cosa significa tradizionale?) ed ovviamente anche nei confronti della pizza: confini che se fino ad alcuni anni fa erano molto netti, ora – grazie allo studio dei pizzaioli riguardo impasti e condimenti – sono decisamente molto più labili.
In California, in pieno periodo Coronavirus (ed gli Stati Uniti sono provati dalla situazione ed applicano restrizioni, seppur differenti tra Stato e Stato) c’è uno chef tristellato che non ha perso molto tempo e si è reinventato. Da proprietario di ristoranti fine dining, ha aperto una pizzeria.
Parliamo dello chef David Kinch, famoso per essere lo “chef surfista”, amante dell’Europa. Il suo ristorante, Manresa tra le montagne della California, detiene le tre stelle Michelin. Già con l’avvento delle restrizioni per i locali, ha rivoluzionato il menu del suo Manresa, permettendo l’asporto, come altri suoi colleghi.
Mentone, invece, è il suo progetto di pizzeria che era già pronto a partire: di sicuro, la partenza che si prefigurava David Kinch non era appunto questa la sua idea di “apertura”, ma da buon imprenditore ha intravisto la possibilità di arrangiarsi e partire lo stesso: la pizzeria per il momento è dedicata al solo asporto.
La pizzeria ha un forno a legna ed il giorno dell’apertura ha iniziato a prendere le prenotazioni appena dopo la mezzanotte per la cena successiva, giusto per rendervi l’idea del successo. Oltre settanta pizze servite da asporto, con topping tipici della cucina italiana, accanto a cockatil ed insalata.
Le pizze più richieste, dal menu, sembrano essere la Pizza Pesto (con stracchino ed olio di oliva californiano, pare la prima ad andare sold out il giorno dell’apertura), la Pizza Margherita, Pizza Sopressata (con il prodotto tipico piccante calabrese).
Sarà proprio la pizza il “bene rifugio” di molti ristoratori? Staremo a vedere.