Da qualche giorno, su Netflix, è disponibile la versione completa del documentario “The Last Dance“, che ripercorre nel dettaglio l’ultimo anno degli stellari Chicago Bulls di Michael Jordan (e Scottie Pippen, Dennis Rodman, Phil Jackson…tanti altri).
Il 1998, quello del sesto titolo NBA, quello del secondo “Three-peat” che ha portato la squadra alle vette assolute della pallacanestro mondiale.
Vi consiglio di guardare il documentario nella sua interezza, perché beneficia delle riprese di una troupe televisiva che ha seguito la squadra per tutta la durata della stagione, dentro e fuori dal campo, per un risultato complessivo eccellente, quasi impossibile da realizzare al di fuori degli Stati Uniti dello show business.
Non mancano paralleli anche con le altre stagioni dei Bulls e, nella nona puntata, si parla delle finali del 1997, quelle vinte contro gli Utah Jazz.
Ad esempio la gara 5, ribattezzata “The Flu Game”, fu affrontata in trasferta da Michael Jordan in condizioni fisiche fortemente debilitate, dopo una notte in bianco causa intossicazione alimentare. Nonostante un primo tempo nel quale faticava a stare in campo, visibilmente disidratato, Jordan mise a referto 38 punti, consegnando alla storia un’altra delle sue incredibili prestazioni.
Tra miti e leggende, partiamo dalla versione romanzata da “The Last Dance”: la sera prima la squadra non aveva aspettato Michael per la cena e, poiché l’hotel si trovava fuori Salt Lake City, solo Pizza Hut era disponibile per la consegna a domicilio presso il Park City Marriott. Nell’albergo si sono presentate 5 persone che hanno sbirciato fuori dalla camera del giocatore, Michael ha mangiato la pizza in solitaria e poco dopo si è svegliato con crampi e dolori di ogni genere.
Jason Hehir, il regista di The Last Dance, ha poi aggiunto che Jordan, all’arrivo della pizza, ha sputato sulla stessa affermandone la paternità esclusiva perché la squadra non l’aveva aspettato.
Le reazioni dopo la pubblicazione del documentario non si sono fatte attendere: Craig Fite, il dipendente di Pizza Hut che preparò e consegnò la pizza, ha dichiarato di essersene occupato in prima persona e garantito sulla freschezza degli ingredienti.
Da buon detective improvvisato ha anche affermato che, sbirciando nella stanza, vide un Michael Jordan a torso nudo, con sigaro in mano e con finestra aperta, in un posto che di notte di solito era freddo anche a giugno.
Che sia stato a causa di una pizza avariata consegnata da tifosi degli Utah Jazz, di un colpo di freddo oppure, aggiungiamo noi, di una pizza con i pepperoni, Micheal Jordan ha passato una brutta notte prima di compiere una prestazione sportiva che ha ulteriormente alimentato il suo mito.
Sono sicuri però che, con una buona pizza artigianale, non avrebbe avuto problemi di sorta, addirittura ordinando un ripieno (calzone) si sarebbe potuto riscaldare al suo interno (…).
The Last Pizza for Michael Jordan.