Anno 1985, Roma. Da Bolzano mi avvicinavo al mio Sud e alle sue tradizioni, lasciandomi alle spalle una terra nella quale descrivere un pomodoro all’insalata con un bel filo di olio e una foglia di basilico veniva scambiato per il più classico dei “raù”, almeno per quei tempi.
Però, in quella terra, avevo placato il mio desiderio di pizza grazie a un abile pizzaiolo napoletano che ammaccava pasta cresciuta con encomiabile bravura. Tempi passati dove la pizza veniva considerata cibo da giovani squattrinati che, grandiosamente, si beavano offrendo alle proprie fidanzate una serata mangiando fuori a proprie spese. Ordinavo rigorosamente la Margherita e quando proprio mi sentivo in giornata splendida mi concedevo una Diavola, ed era proprio la Diavola il pezzo forte di quel mio pizzaiolo emigrante.
Una volta a Roma, per caso, mi sono avvicinato a una realtà che proprio non immaginavo, la pizza era tutta un’altra storia rispetto a ciò che mi aspettavo: un “disco” (sì, un vero e proprio LP, quelli da 180 grammi doppio strato) di pasta sottile, a occhio poco lievitata, croccante, con cornicione inesistente ovvero agli antipodi di quella che era etichettata come “la pizza napoletana”. In questi anni ne ho mangiate davvero molte, alcune ben fatte e altre da dimenticare al primo morso o, talvolta, al primo sguardo.
Oggi, a Roma, tutto questo è storia, almeno dal giorno in cui aprì la mitica PizzaRé che ‘esportò’ la pizza napoletana oltre quella sottile linea di confine con la Campania. Da allora le due tipologie di pizza, per così dire “nemiche”, hanno sempre avuto ottimi rapporti di buon vicinato. Nel tempo tutto si è evoluto e trasformato, la pizza in ogni sua espressione ha raggiunto livelli eccellenti per preparazione e cura nelle guarnizioni.
E allora, dovendo rendergli nuovamente omaggio, sono andato assieme all mia banda di mangiatori di pizza, in un luogo oramai culto per la città di Roma: 180grammi Pizzeria Romana di Jacopo Mercuro. I locali sono due: uno solo per asporto e l’altro per cena al tavolo, aperto da pochissimo. Il nuovo locale nella sua essenzialità è davvero ben collocato, luminoso e spazioso nel rispetto delle nuove regole di vita. Dopo i controlli di rito ci siamo accomodati al tavolo e abbiamo riletto al volo il menù, giusto per fissare i nostri desideri avendolo ben studiato prima a casa.
Lasciamo i fritti per il secondo tempo e iniziamo subito con le pizze chiedendo la possibilità di assaggiarle una per volta: si comincia con l’iconica (e già…) pizza “co’nbottodemortazza”: roba seria, no perditempo. La mortazza al calore della pizza che la contiene rilascia tutto il suo grasso sapore e, tra i morsi, rende all’impasto giustizia donandogli un gusto eccellente. La pizza con la mortazza a Roma è una scelta di vita, scelta che ho condiviso dal mio primo respiro nella città eterna.
Segue una classica Boscaiola che sull’impasto della pizza romana mi ha sempre stuzzicato tanto da rendermi un suo fedele appassionato. Ultima pizza prima dei fritti è una “Pollo&Peperoni?” ma… dove sono i peperoni? Ma sì, ci sono… Ma no, è anguria! Anguria?… Sì sì… Ma dai… No, so’ puparuoli!… È anguria! Vabbè, che storia. Dico soltanto che un altro paio di fette avrebbero fatto scomparire ogni dubbio. Non buona, ottima.
I fritti vivono una storia a parte in questa città: impanatura eccezionale, croccante fino all’estremo, robusta al morso per poi spaccarsi e cedere la bontà dell’interno. Un classico supplì, un sampietrino cacio e pepe: un piacere per il palato senza confini. Personalmente poi, mi sono concesso un piccolo lusso: un trancio di pizza con “gli ingredienti del supplì”. Vi prego fermatemi.
Terminiamo con una classica brioche siciliana col “tuppo” e gelato: calda, morbida, bellella assai che scioglieva quel gelato al cioccolato tanto “coccoloso”. La Sicilia che viene a Roma attraversando Napoli: una forza. Jacopo Mercuro con la sua creatura 180grammi ha creato un vulcano di bontà: la pizza scrocchiarella rivista in una seria e moderna concezione dove la morbidezza centrale ed il croccante verso l’esterno convivono alla perfezione.
Ho letto da qualche parte che Jacopo fosse un valente avvocato prima di venire folgorato da questa passione: lo preferisco a domare il fuoco del suo forno anziché immaginarlo in una tetra e fredda aula di tribunale. Che Dio protegga gli uomini che alimentano le proprie passioni: sono la salvezza dell’umanità. Grazie Jacopo, ci hai regalato una bellissima serata.
(…Dopo un paio di settimane ci sono ritornato. Una seconda prova razionale, a mente fredda, frenando l’entusiasmo della prima volta. Le sensazioni sono state le stesse, con le medesime certezze. Non è stato un abbaglio: la qualità e la bontà sono una costante.)
La Chiara Consapevolezza di @amjago.
Questa recensione fa parte della rubrica “I percorsi di gusto di Amjago” di Amleto De Silva, che comprende articoli esperienziali e molto personali in giro per le pizzerie di Roma, e non solo