Recensione de i Tigli, Simone Padoan e la poesia del dettaglio
A San Bonifacio, dove la pizza da anni è alta cucina
Recensione di Antonio Fucito — 4 settimane fa
Quando mi siedo in una pizzeria mi piace osservare non solo quello che arriva al tavolo, ma l’approccio, la filosofia, il modo in cui il pizzaiolo e la squadra vivono il loro mestiere. C’è chi vede la pizza come un business da scalare, chi punta alla replicabilità o a creare un format. È legittimo, anzi spesso inevitabile nell’ottica economica. Ma in alcuni casi questa strada rischia di sacrificare qualcosa: quella scintilla unica, quell’identità irripetibile che cerchiamo quando facciamo chilometri per assaggiare una pizza che esiste solo lì, solo in quel luogo.
L’approccio romantico, insomma, quello di chi vive la pizzeria come laboratorio, rifugio, ossessione. L’approccio di Simone Padoan.
Siamo a San Bonifacio, a pochi minuti da Verona. Tra le vie di questo centro tranquillo, i Tigli continua ad essere una pizzeria più unica che rara, il posto nel quale la pizza italiana a spicchi ha assunto una forma diversa, radicale.
Simone è lì, praticamente sempre. Un nerd della pizza, lo dico nell’accezione più pura del termine, capace di passare più ore al banco che a casa, instancabile nel ricercare l’impasto perfetto, la materia prima giusta e come lavorarla.
Entrare ne i Tigli è entrare in un ristorante contemporaneo che ha scelto la pizza come linguaggio. Sulla sinistra, dietro una grande vetrata, la brigata al lavoro con i forni a vista. In sala, legno chiaro, linee pulite, una selezione di vini da fine dining, tavoli essenziali ma eleganti, atmosfera ovattata e rispettosa.
Di certo la pizzeria non può essere definita “popolare”, e non cerca manco di esserlo. Oggi in carta c’è anche una versione denominata “cicchetto” che propone quattro spicchi anziché otto ma i prezzi restano comunque “impegnativi” con la Marinara al costo di 12€ in questa versione, fino alla Sashimi di gambero proposta a 35€.
Ad ogni modo qui il prezzo non è una barriera: è parte del contesto. È chiaro che stai entrando in un ristorante che ha scelto la pizza come tela. L’identità di un luogo così si basa anche sulla sua unicità e quello che propone una sola sede, nessuna scorciatoia.
Da notare tra l’altro che non c’è nessun menu degustazione proposto a priori, sono proprio gli stessi cicchetti che invitano a provare più cose, proprio come è successo nel mio (nostro) caso, scegliendo quattro pizze differenti.
La prima è stata la Margherita in versione croccante, realizzata con salsa di pomodoro al forno, burrata e olio al basilico, proposta a 20€ in versione cicchetto, 32€ completa.
L’impasto, realizzato con semi, è consistente all’inizio e poi morbido nell’affondo, non aggredisce il palato ma anzi si fa apprezzare come una nuvola di sapore. Il morso è profondo, pulito e avvolgente, una margherita che parla la lingua della tradizione ma con un proprio accento.
Poi la Carbonara di Capasanta (29€-48€), realizzata con fior di latte, fagiolini neri, zabaione salato e guanciale, saliamo di giri prepotentemente. L’impasto con mais dona una croccantezza ancora più goduriosa, sorretta dalla stessa eccellente struttura che sorregge un abbinamento sorprendente per intensità, qualità degli ingredienti e capacità di abbracciare tutti i ricettori del palato. Eccezionale.
La terza scelta è ricaduta sulla Liguria (22€-35€) realizzata con fiordilatte, olive di taggia, emulsione di pinoli e basilico, scaglie di pecorino. In questo caso torniamo su note più conosciute, inserite però all’interno di uno spartito gustativo perfetto e sorrette da un impasto semintegrale realizzato con dovizia di particolari.
Con l’ultima pizza, la Piccione al Forno (27€-45€) abbiamo il manifesto gourmet de i Tigli: il morso è importante, quasi meditativo. Il fondo amaro, la carne, il latticino, l’impasto in questo caso all’orzo tostato; tutto è calibrato per sostenere la forza del piccione. Un piatto che potrei immaginare in un grande ristorante. Qui, però, è su un impasto. E funziona.
Per la cronaca, è realizzata con fior di latte, petto di piccione al forno a legna, carducci, coscia confit e fondo al campari
A chiudere la non degustazione c’è stata l’iconica – per le zone – Torta delle Rose (17€), un lievitato sfogliato in questa versione soffice come una nuvola, profumato, burroso e mai pesante, dal sapore eccezionale.
L’accompagno con un gelato di pistacchio di Bronte – per davvero – ha chiuso il cerchio di una non-degustazione di livello assoluto.
Uscendo da i Tigli si ha quella sensazione non comune di aver vissuto qualcosa di unico, necessario, irripetibile.
Qui la pizza è un mezzo, non il fine. È una piattaforma
culturale su cui costruire una cucina identitaria fatta di abbinamenti e impasti che dialogano tra di loro per ottenere un risultato a dir poco eccellente.
Non è solo la scelta degli ingredienti a spiccare, ma soprattutto la loro lavorazione; e allora, come se ce ne fosse bisogno, abbiamo l’ennesima conferma di avere a che fare con una di quelle pizzerie che vale il viaggio.
Non per moda, non per racconto, ma per contenuto.
Cosa mi è piaciuto (+)
Impasti eccellenti e pensati per ciascun abbinamento
Lavorazione e scelta della materia prima
Carta dei vini di livello
Dubbi (-)
Nessuno, bisogna però tenere in considerazione i prezzi