Forno elettrico e pizza napoletana: parola ai Pizzaioli, Tecnici, Associazioni
Facciamo il punto su una questione che sta generando molto dibattito
Rubrica di Antonio Fucito — 5 anni fa
La notizia più recente è sulla bocca di tutti: l’Associazione Verace Pizza Napoletana, tra le più conosciute e influenti del panorama pizza, ha allargato il proprio disciplinare ai forni elettrici, dopo averlo fatto in passato per quelli a gas.
Una svolta epocale, che non ha mancato di generare polemiche, diatribe tra associazioni, idee opposte tra conservatori e progressisti.
I piani di discussione sono diventati sostanzialmente tre: la “serietà” delle associazioni di categoria, accusate di essere governate da interessi economici e mediatici; la possibilità di realizzare una pizza napoletana anche con diverse tecnologie di cottura (e non solo); l’assegnazione della nomenclatura “pizza napoletana” per quelle ultimate con gli strumenti di cui sopra.
Prima di pubblicare questo articolo mi sono adoperato per sentire ed intervistare una moltitudine di protagonisti interessati ; mettetevi comodi perché avete a disposizione tante dichiarazioni di prima mano, assieme a qualche valutazione generale a cui seguirà, a breve, un mio video podcast di opinione approfondito.
Le Associazioni per la tutela della pizza napoletana
Partiamo, dunque, dall’argomento più gossipparo, quello delle Associazioni. Protagoniste AVPN, citata ad inizio articolo, e APN – Associazione Pizzaiuoli Napoletani – nata dal distaccamento dalla prima da parte del presidente attuale Sergio Miccù.
Di visioni differenti all’interno di un’azienda ne è pieno il mondo, detto questo il 9 marzo del 2010 una comunione di intenti, promossa anche dal maestro pizzaiolo Enzo Coccia, ha dato luogo alla creazione del “Disciplinare di Produzione della Specialità Tradizionale Garantita -Pizza Napoletana-“, registrato presso la comunità europea e disponibile in formato integrale sul sito della Gazzetta Ufficiale.
Un disciplinare per la tutela del nome e della lavorazione della pizza napoletana, quindi, un motivo di orgoglio per il nostro paese, che nel 2017 è stato ulteriormente suggellato dal riconoscimento de ”L’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano” come patrimonio culturale dell’umanità, da parte dell’Unesco.
Su queste premesse “super partes” e fondate su testimonianze storiche, le attività di AVPN e APN hanno creato già precedentemente una propria sovrastruttura di certificazioni per pizzerie e pizzaioli.
Entrambe propongono corsi di formazione, entrambe sono supportate nelle loro attività da sponsor o partner, a diversi titolo.
AVPN ha creato un disciplinare più esteso sulla base di quello STG, che prevede ad esempio l’utilizzo di Farina 0, lievito secco e per l’appunto forni elettrici oppure a gas. Per essere associate le pizzerie devono utilizzare ingredienti e tecnologie offerte dalle aziende presenti nell’albo dei fornitori, disponibile a questo indirizzo.
APN non offre una versione alternativa del disciplinare e si occupa maggiormente della pizzaiuolo napoletano, sempre mediante associazionismo, corsi di formazione e tutta una serie di attività collaterali, supportate dagli sponsor presenti sul sito ufficiale.
Tali strutture giocoforza lasciano il fianco a polemiche su eventuali interessi personali, ma quello che ancora manca, ad oggi, è un consorzio di tutela, presente, ad esempio, per la Mozzarella di Bufala Campana DOP. Si è provato più volte ad avviarne le pratiche senza portarle a termine, e fa davvero strano pensare che nel 2020 ancora non se ne veda l’ombra.
La diatriba sul forno elettrico e tra associazioni
L’introduzione della certificazione per il forno elettrico da parte dell’AVPN ha generato una serie di botta e risposta con APN, fiera sostenitrice del forno a legna come unico strumento di cottura per la pizza napoletana; a latere parecchie altre discussioni, tra i sostenitori della tradizione più pura, quelli che hanno additato ad APN un passato supporto del forno elettrico e quelli che non hanno visto di buon occhio l’approvazione, ad oggi, di un solo forno elettrico da parte di AVPN, vale a dire lo Scugnizzo Napoletano progettato dall’omonima compagnia e realizzato fisicamente da Izzo Forni.
Per prima cosa ho intervistato Antonio Pace, presidente di AVPN, su questi ed altri argomenti di discussione.
Ciao Antonio, come mai la volontà di inserire forni elettrici in AVPN?
L’introduzione 10 anni fa dei forni a gas ha permesso di vendere molti più forni per la pizza napoletana nel mondo, perché esistono tanti posti nei quali, ad esempio, non è permesso o possibile costruire la canna fumaria. In questo momento storico, poi, c’è un movimento ecologico abbastanza importante, e bisognava prenderlo in considerazione. Prima di introdurre il forno elettrico abbiamo sperimentato per molti mesi, lo abbiamo fatto provare a tanti “amici” e professionisti. Ti dirò di più, diversi tra quelli che si sono lamentati del forno elettrico, lo hanno utilizzato tranquillamente in eventi o altro, solo che non hanno avuto il coraggio di dirlo e si sono nascosti, talvolta posizionando il forno elettrico nel retrobottega e quello a legna ben in evidenza. Noi abbiamo verificato che questo tipo di forno elettrico – poi vedremo gli altri! – che ci è stato proposto, permette di ottenere un buon prodotto.
Certamente la pizza napoletana, nella sua storia, la sua tradizione e anche nella sua filosofia e immagine, ha bisogno del forno a legna; tanto è vero che noi, anni fa, non potendo registrare “Pizza napoletana”, perché è un termine di utilizzo comune, ci inventammo, anzi mi inventai, “Verace Pizza Napoletana” e “Vera Pizza Napoletana”, chiudendo in quell’angolo, marchio registrato, la più pura tradizione. Poi abbiamo creato “Oven Gas” e “Oven Electric” con dei colori e diciture differenti; sulle relative tabelle non c’è scritto “Verace Pizza Napoletana”, ma solo “Pizza Napoletana”. Qualcuno ha detto che non bisogna chiamarla napoletana se fatta nel forno elettrico, ma io faccio una domanda: chi glielo impedisce? Non gli puoi fare niente, noi avevamo perso la battaglia, ma fortunatamente mi sono inventato il nome “Verace” a abbiamo salvato la pizza napoletana nel mondo con quel disciplinare. Oggi è il turno del forno elettrico dopo quello a gas, al tempo il primo che fu disposto a collaborare è stato Valoriani, apportando modifiche per risolvere problemi del forno a gas rispetto a quello a legna. Il primo forno elettrico che abbiamo approvato ha risolto gran parte dei problemi, certamente si può ancora migliorare.
Quindi sei in disaccordo con i conservatori della pizza napoletana, i quali affermano che va realizzata in un certo modo specifico, sia per l’impasto che la cottura? A questo punto, un domani, cosa preclude l’apertura anche ad altri tipi di lavorazione, magari dell’impasto?
No, altri tipi di lavorazione no, abbiamo esteso solo la cottura, fino alla bocca del forno dobbiamo usare il metodo più tradizionale. Il forno che abbiamo accettato è l’unico compromesso, così abbiamo aperto alla pizza napoletana in altri mercati, con buona pace di chi è contro e che magari l’ha usato in alcune situazioni…come detto mi sono inventato “Verace” e forse a qualcuno non è piaciuta la cosa. Prendiamo tutti i pizzaioli volenterosi che si vogliono avvicinare alla pizza napoletana e non possono utilizzare il forno a legna: invece di sbattergli la porta in faccia, non è meglio aprirgliela e dirgli “se la volete fare, c’è questa soluzione”? Così li accompagniamo a fare comunque una pizza napoletana di livello, e diffonderla ancora di più nel mondo.
Come mai oggi avete aperto solo a nuovi forni? Perché siete più intransigenti riguardo la lavorazione?
La lavorazione di una pizza napoletana si può fare perfettamente in tutto il mondo, non c’è ragione di uscire da quel metodo. Tra l’altro per avere la certificazione del forno a gas o elettrico, le pizzerie devono mandare un documento che attesta di non aver avuto l’autorizzazione per utilizzare il forno a legna: non si può adottare direttamente di elettrico.
Ripeto, lasciarli liberi non gli preclude di chiamarla pizza napoletana, anche nel forno minuscolo delle pizzette. E ti dirò di più, una buona pizza napoletana difficilmente è riconoscibile se fatta nel forno elettrico, gas o a legna, soprattutto tra le persone comuni.
Che poi io sono stato l’ultimo baluardo a cedere, perché tanti dei pizzaioli che si stanno battendo sui social hanno utilizzato per anni il forno elettrico…io ero tra i più resistenti, poi ho dovuto cedere quando mi hanno dimostrato che avevo torto. Per un fatto di cocciutaggine e tradizione ci eravamo rifiutati di prenderlo in considerazione, adesso che è venuto fuori tutto questo momento ecologico importante, e abbiamo capito che in futuro ci saranno tanti problemi soprattutto all’estero, meglio insegnare ad utilizzare correttamente i forni a gas ed elettrici. Però attenzione, non mettendo il forno elettrico nel retrobottega, ma la targa in esposizione ad indicare che c’è una pizza napoletana cotta nel forno a gas oppure elettrico.
Perché prima dell’introduzione del forno elettrico non avete aspettato di avere almeno un paio di fornitori oppure creato delle regole generali con le caratteristiche necessarie per la certificazione? In questo modo, invece, avete aperto il fianco a critiche su eventuali accordi commerciali.
Quando ho messo il forno a gas, l’unico che ha accettato di sperimentare con noi è stato il toscano Massimo Valoriani, dopo di lui tutti quanti hanno capito l’opportunità di fare un forno a gas e man mano si sono proposti. Io non ho mai cercato nessuno, se mi contattano io rispondo: se ci sono altri forni che per le loro caratteristiche permettono di cuocere la pizza napoletana, io non ho nessuna difficoltà a testarli ed approvarli. Ma approvare un forno elettrico, in via generale, non è pensabile.
Parlavo di regole specifiche ma applicabili in maniera più generale. Non si poteva pensare di farle anche per la tipologia di forno elettrico, come si fa per l’impasto?
Chi ha fatto il forno elettrico è un ingegnere, io non sono un ingegnere, per ogni forno ci può essere una differente circolazione d’aria, tipo di calore, temperatura del suolo, quella della volta…bisogna provare singolarmente ciascun forno.
Come funziona la certificazione, siete voi che contattate i fornitori per essere inclusi?
Io non ho mai cercato nessuno, ma chi si presenta lo testiamo e nel caso certifichiamo. Per esempio tutti i prodotti alimentari li includiamo attraverso un certificato dell’Università Federico II di Napoli: gli mandiamo il prodotto, lo analizzano, ci dicono se è in linea col disciplinare e nel caso lo accettiamo.
Ci ho messo 6-7 mesi, con decine di pizzaioli tutti professionisti, per certificare il primo forno elettrico.
Perché non hai aspettato di avere perlomeno due produttori di forni elettrici, per generare meno polemiche?
Senza fare nomi noi qualche contatto l’avevamo avuto, ma sono persone che non hanno portato a termine la cosa, non sono andati avanti..forse erano troppo presuntuosi per accettare la nostra sperimentazione, non lo so. Da mesi si sapeva che stavamo sperimentando il forno Scugnizzo Napoletano, non mi propongo a nessuno.
A costo di ripetermi, anche per il forno a gas Valoriani abbiamo chiesto delle modifiche perché il suolo dopo la terza o quarta pizza si raffreddava e non andava bene, lui ha trovato il sistema di passare l’aria attraverso dei canali per mantenere la temperatura. Altri hanno cambiato la tipologia del suolo, ognuno ha trovato delle soluzioni, le abbiamo provate tutte e abbiamo approvato. Quelli che producono il forno elettrico facessero altrettanto.
A tal proposito ho letto di alcuni pizzaioli, come Ciro Salvo, che hanno affermato come che se da un lato alcuni forni elettrici reggono il confronto col forno a legna, quando bisogna correre (ovvero fare tante pizze), non è così. Senza dimenticare che semplificano il lavoro suggerendo un approccio superficiale, che ne pensi?
Oramai un forno elettrico di qualità può gestire tante pizze perché recupera subito la temperatura, però certamente affermare che i forni di questo tipo o a gas siano “perfetti” per la cottura della pizza napoletana come quelli a legna, non lo dirò a nessuno. Ci sono delle piccole problematiche che possono essere tranquillamente gestite. In realtà anche i meccanismi dei forni a legna attuali sono diversi da quelli di una volta. Al tempo i pizzaioli quando facevano “troppe” pizze e la temperatura saliva alle stelle, pulivano il fondo con una scopa umida, toglievano la fuliggine e lo raffreddavano un pochino..anche il forno a legna va portato, va condotto, aggiustato continuamente, la stessa cosa vale per quello elettrico che a gas. La bravura del fornaio rimane fondamentale, anche se all’apparenza è più semplice la cottura. Il profumo della legna non esiste, sono depositi che non fanno bene per la salute.
Parliamo della diatriba avuta con Sergio Miccù di APN, del suo integralismo verso il forno a legna e dell’invito pubblico a lasciare AVPN dopo l’introduzione del forno elettrico.
È un integralismo di comodo, perché il signor Miccù ha sposato ad esempio un concorso in Giappone di pizza napoletana col forno elettrico. Evidentemente siccome in passato ha provato a parlare del forno elettrico e non ci è riuscito, ha optato per questa svolta integralista.
Gli integralisti lasciano il tempo che trovano oggi, perché anche a Napoli oggi se apri una nuova pizzeria ci sono diversi posti dove non si può mettere la canna fumaria, anzi sul lungomare ci sono tanti locali col forno a gas. Se non avessimo lavorato con i produttori, tutto questo non sarebbe stato possibile. Dobbiamo avere un’apertura verso il futuro, mantenendo il rispetto per la storia e la tradizione, l’immagine bellissima della legna. Dobbiamo proiettare la pizza napoletana nei prossimi 200 anni, altrimenti non si va avanti e si da spazio a copie malsane della pizza napoletana. In Cile ad esempio il forno a legna è totalmente proibito, e allora meglio contattarli per fare una buona pizza napoletana nel forno a gas oppure elettrico.
Che poi anche lo stesso campanilismo deve essere contestualizzato: se parliamo di mozzarella o pomodoro, è ovvio che bisogna esserlo, se parliamo di olio e farine, diventa stupido, che ci sono tanti ottimi prodotti fuori dalla Campania.
Sergio Miccù poi ha detto una cosa che mi ha lasciato perplesso: l’esistenza di pomodori, farine e altro che vanno bene solo per il forno a legna: sono cretinate per arrampicarsi sugli specchi. La farina e i pomodori non vengono prodotti per il forno a legna o il forno a gas o qualsiasi forno specifico.
Tra le altre critiche lette in giro, c’è quella che mette in discussione la maniera in cui associate alcune pizzerie, che già dalle foto non fanno una valida pizza napoletana, come evidenziato in questo articolo. Come rispondi?
Innanzitutto devo specificare una cosa, noi quando associamo una pizzeria garantiamo che questa usi tutto il processo produttivo del disciplinare. Il prodotto finale possiamo garantirlo fino ad un certo punto in quanto prodotto artigianale, poi ad esempio in America ho qualche problema sicuramente da migliorare. Chiaramente dopo la certificazione facciamo controlli a cadenza regolare che non sono sempre puntuali dato l’alto numero di associati, talvolta ci arrivano segnalazioni da gruppi di appassionati di pizza e verifichiamo subito. Nel mondo abbiamo ritirato 7-8 targhe di gente che non faceva più la pizza napoletana; la nostra targa poi è tra le più imitate al mondo, una volta ne abbiamo sgamata una in Cina.
Passiamo alla questione economica: vedendo la lista dei fornitori e degli eventi è facile pensare che ci siano interessi economici oltre che di tutela del marchio, che mi dici?
L’Associazione per definizione è senza scopo di lucro, noi non abbiamo mai distribuito gli utili, l’unica cosa che paghiamo sono i dipendenti. Logicamente per mantenere in piedi un’associazione che ha 7 scuole nel mondo e quasi 900 associati, servono le finanze, ci manteniamo grazie ai corsi e i nostri partner. Però attenzione, loro hanno avuto molto di più che quello che danno, quando io ero ragazzo c’erano solo due farine che usavano i pizzaioli, ora ne sono molte di più, abbiamo fatto da capofila, hanno cominciato tutti a studiare.
Quindi voi non andate a fare accordi commerciali per favorire i partner o per farne entrare di nuovi?
Assolutamente no, quando facciamo una manifestazione tutti i partner entrano alla pari, se poi ovviamente c’è un evento di un singolo produttore, ci adeguiamo. Noi non rifiutiamo l’iscrizione in assenza di accordi economici, l’iscrizione all’albo fornitori è libera e democratica, con i test della Federico II come dicevo prima. Altre associazioni non agiscono in questa maniera.
Allora in futuro non ci saranno problemi a far entrare nuovi fornitori di forni elettrici e derivati?
Chiariamo una cosa, noi non diamo esclusività, e non ci sono preferenze economiche.
Dopo questa lunga chiacchierata è stato il turno di sentire Sergio Miccù, presidente di APN, riguardo la sua posizione sulla faccenda.
Ciao Sergio, perché la tua posizione è inamovibile per quanto riguarda l’utilizzo del forno a legna per la pizza napoletana?
Perché è l’unica maniera per fare la pizza napoletana secondo tradizione. Non è vero che non si può installare il forno in tanti posti, non è vero che il forno elettrico è più ecologico…l’elettricità da dove proviene? Spesso anche da centrali nucleari…anzi il forno a legna è più ecologico, se costruito con tutte le accortezze del caso.
Qual è la missione complessiva dell’APN, quindi?
È un’associazione di pizzaiuoli, siamo partiti col riconoscimento del marchio europeo…alla fine AVPN è stata costretta ad entrarci politicamente perché doveva.
Non siamo riusciti a creare un Consorzio di tutela, che sarebbe ideale, proprio perché ci ha sempre messo i bastoni tra le ruote, cambiando costantemente idea e contraddicendosi al massimo verso i propri soci: perciò me ne sono andato da AVPN.
L’Associazione nasce per tutelare il pizzaiuolo napoletano, con la U, perché è proprio un’arte a tutti gli effetti. Per avere il riconoscimento Unesco ho girato il mondo per raccogliere le firme…è l’APN che ha presentato il disciplinare, poi politicamente l’abbiamo dovuto far entrare anche AVPN. Noi portiamo avanti un discorso di tradizione, il processo completo, nel quale la cottura è fondamentale: puoi fare un buon impasto o utilizzare i migliori ingredienti, ma se cuoci male rovini tutto. Con l’STG non abbiamo inventato nulla, abbiamo messo su carta quello che facevano i nostri antenati.
Ci sono motivazioni oltre quelle storiche per l’utilizzo del solo forno a legna?
Si, anche tecniche e scientifiche, come potrà confermarti Enzo Coccia che ha fatto studi in tal senso, anche con docenti e professionisti. Se Antonio Pace di AVPN non ha più voglia di tutelare la pizza napoletana, si faccia da parte e continui un altro percorso.
Non si poteva evitare la polemica pubblica tra associazioni? Non è stato un bel leggere, per i campani e non.
Non si poteva evitare, quale competenza ha AVPN, così come la mia APN, per certificare prodotti o forni specifici? Noi non certifichiamo nessuno, perché si è certificato solo un forno elettrico? A questo punto tutti possono certificare quello che gli pare, e diventa un caos.
Per questo noi seguiamo il disciplinare STG, parlando di caratteristiche “generali” per il pomodoro, metodo e così via. I nostri soci nel momento in cui seguono il disciplinare STG non hanno obblighi di utilizzare un prodotto oppure un altro. Come sai c’è un gran giro di soldi in generale, bisogna un attimo fermarsi per evitare questa frammentazione e che tanti entrino “nel giro” solo sborsando un po’ di soldi.
Stai mettendo quindi in dubbio il rapporto economico tra produttori e altre associazioni, cosa rispondi a chi muove le stesse critiche per APN?
Noi abbiamo 4 tipologie di aziende che ci supportano per le attività, ma puoi domandare agli associati se hanno qualche obbligo di utilizzare i loro prodotti…anzi ci sono più associati che ne usano diversi. Tra l’altro i nostri associati pagano molto di meno di associazioni quali AVPN, la tabella si paga una volta sola, la quota annuale è molto più bassa. Anche sulla formazione è un grande caos, noi facciamo circa 2 mesi di scuola – tutti i giorni per 9 ore compresi i laboratori – altri invece rilasciano attestati dopo una settimana, non solo per la pizza, ma anche per la formazione su ingredienti specifici. Purtroppo il boom della pizza negli ultimi anni ha creato anche dei mostri e tutti sono saliti sul carro, tra “broker” che si fanno pagare dai pizzaioli per portarli avanti, giornalisti prezzolati…è straziante la cosa. Chissà perché soprattutto nel mondo pizza, purtroppo la categoria dei pizzaioli è più appetibile e meno istruita.
Torniamo alla pizza napoletana, perché non vedi di buon occhio l’utilizzo di due nomenclature per distinguere quella tradizionale da quella moderna?
Il discorso Verace o meno non esiste, o fai una pizza napoletana o non la fai, si crea solo confusione. Già esistono tante pizze differenti, quella a canotto, ora contemporanea, quella genovese e tante altre…non possono avere il suffisso napoletana. Se includiamo tutte le tipologie di lavorazione, tutti i forni, non preserviamo le caratteristiche originali della pizza napoletana, quelle riportate nei documenti storici e utilizzate a Napoli per secoli. Se ne vedono di tutti i colori tra impasti, tecniche: chiamatela pizza ma non chiamatela napoletana.
Anche tra 50 anni o 100 anni bisogna preservarne le caratteristiche storiche ed originali, come succede per tanti altri prodotti come il prosciutto di Parma o il lardo di colonnata: qual è il problema di avere caratteristiche specifiche e immutabili? Perché tutti vogliono invece cambiare o allargare la pizza napoletana?
Io ne faccio un discorso anche di comunicazione: abbracciando nuovi stilemi, senza esagerare, potrebbe diffondersi maggiormente ed evitare falsi positivi o pallide imitazioni
Ma tu non credi che già adesso si sta affermando nella forma originale? Meglio dare delle regole perché altrimenti, paradossalmente, anche un Pizza Hut o Domino’s potrebbe fare la pizza napoletana. Noi continuiamo a lottare questa battaglia con regole chiare e supportate da documenti storici, magari altre associazioni un domani faranno passare anche il fornetto di casa. Perciò sarebbe ideale avere un consorzio, ci proverò ancora in futuro.
Non ti fidi quindi che AVPN o chi per lei certifichi solo prodotti veramente ideali per la pizza napoletana?
Non è solo quello il punto, ti dico che anche io ho provato il forno Scugnizzo Napoletano, ad esempio: è un ottimo forno, esce una buona pizza con un bravo pizzaiolo, però questo ottimo pizzaiolo se dimentica il forno a legna, perderà la bravura. Oggi esce un’ottima pizza perché c’è l’esperienza della lavorazione con la legna. Nel tempo i “nativi” del forno elettrico avranno dimenticato il mestiere, si perderà l’esperienza e la bravura tramandate dal forno a legna, e quindi si cuocerà anche peggio la pizza napoletana. Con buona pace del riconoscimento Unesco.
Pochi giorni fa AVPN ha pubblicato un video nel quale ti “accusa” di aver sposato eventi di pizza napoletana con forno elettrico. Non va contro la tua battaglia conservativa?
Era un evento giapponese di pizza nel forno elettrico al quale sono stato invitato anche come giurato e al quale ho partecipato con piacere, mica potevo fare polemica sul momento e sui dettagli come la scritta napoletana…l’evento non l’ho organizzato io, e non dimentichiamoci la differenza di lingua. Era tempo fa, comunque.
Torniamo in Italia, credi che in futuro l’STG possa essere modificata? Alla luce magari di nuove scoperte e introduzioni?
Ci vuole prima il Consorzio, è la quarta volta che ci sto provando…ma i pizzaioli non sono pronti ad un consorzio, è una cosa molto seria, che tutela per davvero il procedimento e la cottura.
Quale sarà il futuro, allora?
Io penso che ci sarà sempre un ritorno alle origini, molte cose sono tendenze, la pizza napoletana no.
Al di là del ruolo delle associazioni, dalle interviste emergono due concetti se vogliamo entrambi condivisibili: da un lato preservare la pizza napoletana storica e la sua lavorazione fino all’arrivo nel piatto, caratteristiche che includono anche esperienza e “mestiere”. Dall’altro un desiderio di inclusività, di allargare la pizza napoletana a nuovi interpreti, senza sconfessarla eccessivamente, ed evitare di sfavorire chi non può seguire alla lettera il disciplinare “storico”, ma comunque vuole fare una pizza di questa tipologia.
Concetti che possiamo estrapolare e fare nostri nella discussione senza coinvolgere ulteriormente le associazioni, le cui risposte sono interessanti ma altresì passibili di ulteriori domande, approfondimenti e richieste di spiegazioni, pur essendo state sicuramente esaurienti per farsi una propria idea.
Gli altri produttori di forni elettrici
Dalle parole di Antonio Pace abbiamo appreso che la certificazione di AVPN dei forni elettrici è avvenuta, ad oggi, solo per lo Scugnizzo Napoletano, perché sono stati gli unici che si sono proposti per la sperimentazione e i test, nonostante la volontà dell’associazione fosse di dominio pubblico da mesi. Questo al di là delle caratteristiche tecniche, visto che non ci sono stati test su altri forni.
Ho provato a contattare Giuseppe Krauss, ingegnere e capo del progetto di questo forno, per avere ulteriori delucidazioni in merito alla parte tecnica ed operativa. Dopo qualche giorno sono riuscito finalmente a raggiungerlo e, in una breve conversazione telefonica, mi ha detto che in realtà non si sono proposti loro per la certificazione – altrimenti l’avrebbero fatto 6 anni fa quando è stato introdotto il forno – ma che avendo un ottimo rapporto con l’associazione gli è stato chiesto di fare dei test per la certificazione.
Mi è stato poi chiesto di continuare la discussione via mail per motivi logistici, nella fattispecie ho chiesto dettagli su come è avvenuta la certificazione e quali sono le caratteristiche tecniche del forno che lo rendono in grado di cuocere una pizza napoletana secondo tutti i crismi del caso: qualora dovessi ricevere risposta, anche tra giorni, non mancherò di inserirla all’interno di questo articolo.
Ho sentito anche altri produttori di forni elettrici, come Alfa Forni e Moretti Forni: mi hanno confermato di non essere stati contattati da nessuno, Massimo Moretti mi ha inviato inoltre la seguente dichiarazione:
Non siamo mai stati contattati da AVPN per fornire informazioni sul nostro Neapolis, né tantomeno per prove di cottura. Credo che anche altri produttori siano nella nostra stessa situazione: sembra che Izzo abbia avuto una “via privilegiata”.
Ti posso anche dire che quando a novembre 2017 l’arte della pizzaiolo napoletano è stata proclamata patrimonio Unesco a Parigi, c’erano i nostri Neapolis a cuocere le pizze, forni utilizzati con massima soddisfazione anche dai pizzaioli AVPN presenti, fra cui Salvatore Coccia (uno dei fratelli di Enzo) che opera a Parigi e che decantò le prestazioni del forno.
Al link qui di seguito trovi il servizio mandato in onda da Striscia La Notizia dove si vedono bene i Neapolis in uso.
https://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/pizza-patrimonio-dell-umanita-_29653.shtml
Ma quindi una pizza napoletana si può fare o no nel forno elettrico?
Anche questo dibattito è molto acceso, ma va separato tra le questioni puramente legate al risultato finale e le rimanenti, non solo storiche.
Partiamo dalle prime, dove in realtà ci sono pochi dubbi: in un’intervista su Foodcblub, ad esempio, Salvatore Kosta ha ribadito che a parità di impasto è possibile realizzare una pizza napoletana perfettamente identica sia se viene cotta nel forno a legna che in quello elettrico.
Come già accennato Ciro Salvo ha affermato che in un forno come lo Scugnizzo Napoletano le differenze possono essere impercettibili ma il forno elettrico non ha le stesse prestazioni quando si devono sforare molte pizze, necessitando di un tempo di “ripresa” maggiore.
Alessandro Trezzi, che si è occupato anche di realizzare qui su Garage Pizza la ricetta per fare la pizza napoletana fatta in casa, ci da una spiegazione molto precisa che esula dal forno elettrico specifico:
Ragioniamo sulla definizione di “pizza napoletana”, presa direttamente dal disciplinare.
Un prodotto da forno lievitato, steso a disco sottile e cotto a temperature che vanno dai 380 ai 485 °C tra platea e cielo, per un tempo che oscilla tra i 60 e i 90 secondi. Il risultato è una pasta molto elastica nella stesura e morbida una volta cotta, al punto da essere ripiegata su sé stessa a portafoglio o libretto. L’effetto croccante è assente o appena percettibile, il bordo rialzato (il famoso cornicione) che funge anche da corona per gli ingredienti del topping, la parte centrale sottile e coperta dai condimenti, con la maculatura tipica di una cottura rapida e aggressiva.
In sostanza, l’analisi tecnica e sensoriale di una pizza napoletana deve rispondere due requisiti fondamentali:
-La struttura dell’impasto deve essere asciutta ma non completamente cristallizzata, rimanendo quindi morbida al tatto e scioglievole al palato;
-La cottura degli ingredienti, nei pochi secondi di permanenza nel forno, fa solo in tempo a scaldarsi e ciò permette a materie prime come il pomodoro, l’olio o la mozzarella di conservare le loro caratteristiche organolettiche pressoché intatte, a differenza di una cottura più prolungata dove il profilo cambia completamente.
Perché questo accada, la maggior parte della responsabilità nel risultato finale non è nell’impasto o nelle fasi di riposo, ma soprattutto nella cottura condotta secondo un preciso equilibrio di tempi/temperature, supportata ovviamente da una stesura effettuata con criterio; nella fattispecie, per essere sicuri che in 60-90 secondi la pizza sia perfettamente cotta e conforme alle aspettative la parte centrale dovrà essere sottile e l’aria spostata sul cornicione.
L’equilibrio di tempi/temperature che deve essere impostato da chi gestisce il forno solitamente risponde a tali pre-requisiti:
-Una platea in materiale refrattario, che conduca il calore in modo uniforme e la cui temperatura sia compresa tra i 380 e i 420 °C;
-Il cielo più alto, tra i 450 e i 485 °C;
-Il perfetto bilanciamento tra platea e cielo; banalmente, se avessimo la platea a 420 e il cielo a 450, rischieremmo di bruciare la parte sotto prima che sia cotta quella sopra;
-Una quantità di impasto non esagerata, il condimento equilibrato e l’idratazione gestita in maniera corretta; un panetto da 300 gr non cuoce allo stesso modo di uno da 200, così come un impasto al 75% di idratazione non cuoce allo stesso modo di uno al 55%.
Tornando al disciplinare, abbiamo un panetto del peso compreso tra i 180 e i 250 gr, il disco di pasta steso uniforme, 60-80 gr di pomodoro, 80-100 di mozzarella, idratazione tipicamente tra il 55 e il 58%.
La base c’è, è tutto perfettamente equilibrato; ipotizzando una cottura a 485 °C con la platea a 400-420 gradi, saremo certamente in grado di portare a casa il risultato voluto.
E se notate, lo abbiamo fatto senza parlare di legna.
Proprio così: perché le caratteristiche della nostra pizza siano conformi alle aspettative, non è il combustibile a essere importante ma la temperatura e la distribuzione del calore, seppur nel disciplinare si faccia riferimento al forno a legna però in relazione alla temperatura da raggiungere.
Il limite minimo è già stato fissato, ma il prodotto è perfettamente ottenibile sia nei forni elettrici, che in quelli a legna, che in quelli a gas; ovviamente la progettazione del forno deve essere adeguata, la volta bassa per consentire all’irraggiamento di cuocere in maniera rapida la parte superiore, ma ad oggi ciò è ampiamente ottenibile con tutte e tre le tipologie citate.
Le due caratteristiche che vengono attribuite alla cottura a legna sono umidità e aroma; e tuttavia la pizza rimane nella camera giusto un minuto, un tempo neanche lontanamente sufficiente per permettere all’impasto di beneficiare della (poca) umidità in più o di catturare i sentori della legna che, ricordiamo, perché sia utilizzabile deve essere asciutta, pulita e stagionata.
Ergo, non deve fare fumo.
La ragione “tecnica” per cui oggi ha senso scegliere la legna, a parte le motivazioni storiche / antropologiche, è di carattere economico, in quanto i costi di investimento sono ancora nettamente inferiori.
Le radici storiche e non solo della pizza napoletana
Ma, appunto, non è solo questione di qualità del prodotto finale, stiamo parlando di quella pizza napoletana che affonda le sue radici fin dagli inizi del 1700 a Napoli e poi in Campania, della necessità di non snaturarne le sue radici e non far “disimparare” un mestiere che anche nella cottura richiede bravura ed esperienza, meno necessarie con altre tipologie di cotture. Il patrimonio Unesco tende proprio ad esaltare questa caratteristica e le nuove generazioni di pizzaioli, se dovessero conoscere solo cotture più semplici e sistemi più automatizzati, potrebbero perdere questo patrimonio immateriale.
Proprio al riguardo Ciro Salvo di 50 Kalò ha affermato su Facebook, testuali parole, “io voglio il forno a legna, il fornaio con anni di esperienza di sola cottura, la pala di legno, il pizzaiolo che non immerge il panetto nella farina(una volta si prendevano mazzate per questo erroraccio, e visto che parlate di aromi, suolo sporco e affumicatura, sarebbe un argomento da trattare, perché molto probabilmente sono solo danni da farina bruciata) e la pizza trasportata CON LE MANI sulla pala. Questi ultimi due sono i segnali inequivocabili che il pizzaiolo ha padronanza nel gestire un impasto ad alta idratazione, altrimenti è meglio levare mano”
Antonio Starita, patron di Starita a Materdei, è tra i pizzaioli più storici presenti a Napoli.
L’ho raggiunto per telefono sull’argomento:
Ti faccio una domanda, non pensi che sia tutto un business? Oramai la pizza fa gola a tanti, non ultime le Associazioni di categoria, ma alla fine ho deciso di abbandonare le polemiche e discuterne con qualcuno. Chi parla, spesso non sta né vicino al forno, né al banco.
Qual è il tuo pensiero, ad ogni modo, sul forno elettrico?
Li ho provati i forni elettrici, ma non è il caso: se vogliamo fare poche pizze oppure utilizzarlo ad un evento, ci si può adattare, ma se vogliamo fare la vera pizza napoletana, quella morbida che viene sfornata 800-900 volte in una giornata, cosa può dare questo forno elettrico: se ne scende di temperatura, la fa secca e asciutta…le lingue di fuoco non si possono sostituire. Certo, tutti gli strumenti vanno bene per cuocere, ma allora parliamo di pizza in generale…ma per favore quando si parla di napoletana, solo il forno a legna.
Che posizione hai riguardo una versione moderna della pizza napoletana?
Sono stato uno dei primi a dire, quando è venuto McDonald’s a Napoli anni fa, “ragazzi adesso dobbiamo mettere le patatine sulle pizze perché dobbiamo conquistare una fetta della gioventù”. Io sono pronto a qualsiasi innovazione nel gusto, ma che non mi tocchino la stesura a mano, la cottura nel forno a legna e il modo di impastare.
Secondo te si potrebbe pensare ad una pizza napoletana tradizionale e una pizza napoletana moderna?
La seconda non è napoletana, semplice, la pizza si può fare tranquillamente con biga, cotture differenti etc, ma non chiamiamola napoletana. Ti dico una cosa, quando ero ragazzo e mi scaricavano la farina, mio padre mi diceva sempre “quel sacco di farina che sta sotto mettilo sopra” per evitare che rimanesse troppo tempo inutilizzato e si formassero animaletti al suo interno. Oggi sfido qualunque pizzaiolo nel tenere sacchi di farina ben sigillati 2-3-4 mesi a terra, non si forma nulla: questo significa che nel tempo è subentrata anche la chimica, e allora di cosa vogliamo parlare? Altro che forni a legna o meno, dovrebbero essere questi gli spunti di approfondimento.
Ripeto, alla fine è questione di interessi, di business…tutti ci devono mangiare? Va bene, però chiamatela pizza, che poi quella napoletana è tranquillamente riproducibile in tutto il mondo: le mie migliori quasi quasi le ho fatte all’estero, come ad esempio in Sud Africa durante i mondiali di calcio, grazie ad un’ottima temperatura e un forno a legna che hanno costruita lì. Tutto il resto diventa industria, business, e mi dispiace che siano coinvolte anche le associazioni di categoria, per me fanno business senza pagare tasse.
Enzo Coccia ha avuto un ruolo fondamentale nella stesura e nell’approvazione del disciplinare STG, poi ha dato le dimissioni dalle Associazioni per due motivi principali: la coerenza di comportamento – dire una cosa e farne un’altra – e il fatto che sin dal 1984 la presidenza di AVPN è rimasta la stessa, un po’ in antitesi col concetto di Associazioni.
Per Enzo la creazione del Consorzio sarebbe fondamentale ancorché allo stato attuale impossibile, eppure servirebbe per la tutela completa come avviene per altri prodotti, e per evitare che ognuno faccia quello che gli pare, perfino i campionati di pizza STG che fioccano in ogni dove: perfino il sottoscritto potrebbe farloe nessuno potrebbe dire nulla. Se si vuole parlare di green, poi, allora meglio parlare di forno a gas, che con le biomasse inquina molto meno del forno a legna, per davvero.
In realtà per Enzo Coccia la cottura della pizza napoletana va fatta nel forno a legna non solo per questioni storiche, ma anche antropologiche, tecniche e scientifiche. Ne ha fatto diversi studi, che è disposto però a condividere solamente in un convegno dal vivo con esperti e un pubblico interessato, e non nel caos dei social o delle mezze notizie.
Lui non ha mai utilizzato un forno elettrico e simpaticamente mi ha detto che alcuni colleghi che la pensano come lui, pur di farsi immortalare in foto durante gli eventi, diventano inconsapevolmente testimonial del forno elettrico e della pizza non napoletana.
Dulcis in fundo, ho fatto un salto virtuale in Asia per sentire Salvatore Cuomo, che nel 1996 ha fatto da apripista per la pizza napoletana in Giappone e oggi il suo nome si trova su oltre 100 ristoranti.
Cosa ne pensi della questione Forno Elettrico o meno per la pizza napoletana? Dal mio punto di vista, la soluzione più semplice, è utilizzare una doppia nomenclatura chiara ma essere inclusivi con regole generali
Sono d’accordo sul fatto che le due cose vadano separata, va assolutamente specificato che il forno a legna è completamente un’altra cosa, perché non è soltanto il pizzaiolo che conta, ma anche il fornaio. Il fornaio è un’arte fondamentale e bisogna dargli valore, però questo allo stesso tempo non significa che un forno a gas oppure un forno elettrico devono essere ignorati e anzi possono essere il futuro per la pizza in ambito internazionale, con la speranza che a Napoli ad esempio il forno a legna sarà sempre presente.
Come sai in vari paesi viene ritenuto inquinante e ci sono leggi che impediscono la sua adozione, come ad Hong Kong o New York in posti particolari, stazioni e aeroporti. Anche in Italia in diversi posti è così. Se stiamo parlando poi del discorso dell’Unesco, penso che bisognerebbe continuare a stare sulla linea tracciata, se vogliamo parlare del futuro, però, dobbiamo pensare anche alle nuove tecnologie, separando chiaramente i nomi…in questa maniera per me troviamo la soluzione ideale. Se separiamo i nomi da un lato non si perdono tradizione e sapori, dall’altro si può avere la soddisfazione di far mangiare un prodotto che si avvicina molto alla pizza napoletana classica. Anche io ad esempio utilizzo un forno elettrico nelle filippine, ed il risultato è ottimo.
Quindi sei d’accordo che nel forno elettrico si possono ottenere buone pizze?
Assolutamente, alcuni forni elettrici sono una bomba (no pun intended Ndr Tanzen), hanno una gestione più semplice e permettono di ottenere risultati spettacolari, ovviamente bisogna stare attenti ad altre problematiche come la temperatura eccessiva etc.
Cosa hai da dire riguardo la diatriba tra le Associazioni?
Non ho particolari opinioni, ma posso dirti che a convincermi da utilizzare il forno elettrico Scugnizzo Napoletano è stato proprio Sergio Miccù di APN, assieme al pizzaiolo Davide Civitiello e altre persone. Io ero contro in principio, ma dopo aver provato quel forno mi sono dovuto ricredere. Li ho usati in Nuova Zelanda, l’ho messo nelle filippine e probabilmente lo utilizzerò in altri ristoranti che sto per aprire.
Considerazioni finali
Se siete arrivati fin qui probabilmente vi sarete fatti la vostra idea, tra interviste e punti di vista talvolta contraddittori.
Sicuramente i piani di discussione sono molteplici: è condivisibile l’idea di chi vuole difendere e tramandare la tradizione e il “mestiere” legati alla pizza napoletana nella sue forma più pura, così come è innegabile che nel 2020 tanti progressi tecnologici non possono essere ignorati e in talune occasioni semplificano il lavoro o permettono di raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili.
Possono esserci diverse soluzioni per coniugare entrambe le esigenze, le quali nella società odierna non sono puramente pratiche e operative, ma si estendono anche nella comunicazione e nella creazione di un “brand” che può fare da volano turistico ed economico per Napoli, la Campania e l’Italia tutta. Esigenze che, mi sembra scontato di dirlo, non possono non essere governate anche da interessi o punti di vista diametralmente opposti, più o meno scientifici, più o meno sentimentali, più o meno illuminati.
Personalmente ho maturato un’idea abbastanza precisa e concreta, in una posizione che non mi vede né come pizzaiolo né come iscritto ad associazioni, ma siccome vi ho già ammorbato per 42.000 caratteri, la approfondirò in un video podcast dedicato, che completerà la copertura attuale di Garage Pizza su questo argomento.