Ci vuole una certa predisposizione d’animo per spostarsi a Caiazzo, paese nell’alto casertano che conta poco più di cinquemila anime, per mangiare una pizza. Tra una provincia e l’altra si susseguono centinaia di pizzerie ottime, blasonate, di grido. Per non parlare dei paesaggi: si passa da una natura marittima e bruciata ad una campagna grassa. Perché andare proprio a Caiazzo, perché proprio da Pepe in Grani?
Nel silenzio – a tratti inquietante, c’è da dire – di questo borgo arroccato su per una collina, da anni ormai si snoda una nutrita fila di appassionati che attendono di mangiare una pizza, spesso definita tra le più buone del mondo, in un palazzotto del Settecento restaurato di vicolo San Giovanni Battista, sguardo sulla valle e culo sul colle. Pare che circa 14mila persone al mese si rechino a Caiazzo, cifre astronomiche in un momento storico che vede come protagonista l’emigrazione dai paesini dell’Italia interna verso le città.
Franco Pepe è il pizzaiolo – oserei dire, lo scrivano – di questa storia che è Pepe in Grani, in parte già redatta ma che ha ancora qualcosa da dire. Nipote di panificatori – con nonno Ciccio che apre un forno, di ritorno dalla guerra in Libia – tenta diverse strade prima di avviarsi nel progetto Pepe in Grani, nel 2012.
Ma come è riuscito Franco Pepe, in un’epoca fatta di sovraesposizione mediatica, di Instagram victims ad essere un umano controcorrente? Se non conosci Franco, ti sembra quasi schivo: l’occhialino gli fa giocare la parte del nerd vecchia generazione, completamente lontano dai pizzaman che ci piacciono tanto. Basta metterlo a suo agio – a contatto con le persone, a parlare di materia – per decifrare i segreti di un successo destinato a durare.
La ricetta pare semplice, tagliente: Franco Pepe è riuscito a portare Caiazzo al centro della scena della pizza riportando l’uomo in discussione, prima ancora che il prodotto offerto.
Riportare la persona al centro significa restituire dignità e statura a chi gli ingredienti li produce: una sorta di economia partecipativa, dove il produttore sente “quella pizza” di Franco Pepe, un po’ sua.
Umanesimo alimentare? Sì.
E’ così che la Margherita Sbagliata, pizza iconica di Franco Pepe dove la passata di pomodoro riccio casertano stuzzica golosa come una marmellata, non può altro che incuriosire il consumatore su “chi” produce questo prodotto così singolare (Azienda Agricola La Sbecciatrice, ndr); così come capita per i latticini del caseificio Il Casolare ed innumerevoli e piccoli produttori che hanno richiamato, grazie a Franco Pepe, l’attenzione dei media e delle persone comuni, permettendo una piccola e nuova giovinezza a questi luoghi che altrimenti sarebbero quasi sicuramente abbandonati.
L’impasto a mano è cifra stilistica, unica e rara, in un mondo meccanizzato: la pasta vive e reagisce col clima, con le stagioni; i “sentimentali” diranno anche con l’umore di chi lo manipola. E’ così che la pizza di Franco Pepe è, visita dopo visita, diversa: in una pizza intera, preparata e cotta magistralmente, passa la primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera. Accade così, quando si riesce a creare un prodotto vivo, che respira in simbiosi e di contrasto con il clima, l’ambiente, ciò che offre la stagione.
Dai produttori, agli ingredienti, alla pizza. Quando gli occhi cadono sul piatto, inevitabile notare una pizza composta con rigore e geometria, anche quelle più classiche, di tradizione. E’ il caso del calzone con scarola riccia, provola affumicata ed alici, oppure del goloso calzone de “Il Casolare”, con i latticini del caseificio: gonfie camere d’aria dove gli ingredienti, pigri, terminano la cottura come in un forno di una masseria. Un gioiello è la Ritrovata: quella che è in pratica una marinara, ma in realtà si legge Manifesto della Cucina mediterranea. Due tipi di pomodoro in due consistenze differenti (il pomodoro San Marzano DOP passato ed i pomodorini del piennolo del Vesuvio), olio agliato, polvere di olive nere caiazzane, acciughe di Cetara, basilico fritto. Vulcanicità, salinità, mare, orto e cotture della Campania in un solo piatto, con la pizza spinta al massimo delle sue potenzialità.
Chi è fuori rotta, può assaggiare uno spicchio di tutto questo nelle diverse filiali cucite su misura di cliente e di artigiano: la possibilità di fare l’esperienza pizza presso i ristoranti Kytaly ad Hong Kong e Ginevra, oppure nella suggestiva La Filiale in Franciarcorta. E, per i manipoli di gourmand, si può prenotare l’esperienza in Authentica, al piano superiore di Pepe in Grani: un banco, un forno, otto posti a sedere. Le distanze tra il pizzaiolo e gli ospiti si annullano e si condivide un panetto e tante idee. L’infinitamente grande mondo pizza riesce a racchiudersi qui, in un alveo dorato, nell’infinitamente piccola Caiazzo.