La Pinsa tra mito, marketing e caratteristiche
Rubrica di Amleto De Silva — 2 mesi fa
Negli ultimi anni è praticamente impossibile non esservi imbattuti nella pinsa. La percezione che dona è quella di essere leggera al morso, croccante fuori e morbida nell’affondo.
Con una buona dose di marketing a supporto, promette di essere più sana e più moderna. Ma, al di là delle parole, rappresenta davvero “l’antenata dell’antica pizza romana”, come qualcuno ama raccontare, oppure è un’invenzione recente?
Origini moderne e mito dell’antichità
Cominciamo da un fatto: la pinsa moderna è un’invenzione relativamente recente, che si ispira al passato ma nasce, di fatto, all’inizio degli anni 2000.
A idearla è stato Corrado Di Marco, imprenditore e panificatore romano, discendente di una storica famiglia nel mondo della farina. È lui che, dopo anni di prove e studi, ha registrato il marchio “Pinsa Romana” e standardizzato un blend di farine e un protocollo di lavorazione che hanno dato origine al fenomeno.
Il nome pinsa deriva dal latino pinsere, cioè “schiacciare” o “stendere”: un verbo che rimanda ai pani piatti e schiacciati che i contadini romani preparavano con cereali misti, acqua e sale, cotti su pietra o sulla brace.
Ma attenzione: non esistono prove storiche dirette che colleghino la pinsa moderna a un piatto dell’antica Roma.
Si tratta piuttosto di una reinterpretazione contemporanea ispirata a quella tradizione rustica e povera, rivisitata in chiave moderna con tecniche di panificazione evolute.
La pinsa ha un’anima che guarda al passato, ma la sua forma attuale e la sua popolarità sono il frutto di una visione nata poco più di vent’anni fa.
Non è un piatto riscoperto dopo duemila anni, ma un prodotto contemporaneo che ha costruito la propria identità su radici antiche e marketing intelligente.
Le caratteristiche tecniche: cosa la rende diversa dalla pizza
Molti pensano che la pinsa sia solo una pizza ovale, ma le differenze sono più profonde. L’impasto della pinsa prevede un mix di farine — tradizionalmente frumento, soia e riso — anche se oggi si trovano versioni con farro o avena. Questo mix è la chiave per ottenere una struttura croccante e leggera, ma allo stesso tempo elastica e soffice.
Un altro elemento distintivo è l’idratazione, che può arrivare fino all’80% rispetto alla farina.
Questo si traduce, dopo una corretta lievitazione e cottura, in un impasto morbido, alveolato, profumato e più umido all’interno. Le lievitazioni lunghe, che spesso arrivano a 48–72 ore, sono un punto cardine del processo, così come la fermentazione a temperatura controllata.
Nel 2023, uno studio scientifico in vitro pubblicato su Nutrients ha osservato che impasti di pinsa lavorati con biga, lievito madre e lunghe fermentazioni mostrano:
– una maggiore degradazione delle proteine,
– un indice glicemico stimato più basso,
– e una maggiore quantità di peptidi e amminoacidi liberi.
Si tratta però di test di laboratorio, non di studi clinici sull’uomo. Quindi la “digeribilità superiore” è per ora una caratteristica percepita o potenziale, non un dato scientificamente definitivo.
La cottura avviene di solito in forno elettrico o a gas, su teglia o pietra refrattaria, a temperature di circa 300–330 °C — più basse di quelle tipiche della pizza napoletana — per ottenere la giusta combinazione di croccantezza e morbidezza.
Forma, consistenza e topping: il DNA della pinsa
La forma ovale non è casuale: è più semplice da maneggiare, più compatta da servire e, allo stesso tempo, richiama alla memoria i pani schiacciati di un tempo. La consistenza è particolare: croccante sotto, ariosa sopra, quasi una focaccia evoluta.
Per i condimenti, la libertà è totale, tra versioni classiche (margherita, diavola, capricciosa) e combinazioni ad esempio con burrate, verdure stagionali e salumi. Molte pinserie propongono anche formati mini o al taglio, perfetti per l’aperitivo o per la degustazione condivisa.
La diffusione: da Roma al resto d’Italia (e oltre)
All’inizio la pinsa è stata un fenomeno squisitamente romano.
A metà anni 2000 comparivano le prime pinserie, locali dedicati esclusivamente a questo prodotto, con un’estetica a metà tra il forno tradizionale e il bistrot.
Da lì, la moda ha superato il raccordo anulare: Milano, Torino, Firenze, Napoli, fino all’estero, con pinserie in Francia, Germania, Spagna, Stati Uniti e Giappone.
Oggi non esistono dati ufficiali sul numero di pinserie, ma secondo stime di settore se ne contano diverse migliaia in Italia e all’estero. Nel frattempo, molte catene di ristorazione hanno inserito la pinsa nei propri menu, consapevoli del suo forte appeal mediatico.
Un riconoscimento recente ha ulteriormente consolidato il suo status: con decreto ministeriale dell’11 marzo 2025, la Pinsa Romana è entrata ufficialmente tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) del Lazio).
Naturalmente, non tutte le pinse sono uguali: molte non utilizzano il mix originale Di Marco né rispettano i tempi o i mix di farine presenti nel disciplinare, ma la varietà è anche parte della sua fortuna.
Pinsa vs pizza: cugine, non rivali
Si parla spesso di “guerra” tra pizza e pinsa, ma in realtà le due non competono direttamente.
Hanno origini, tecniche e finalità diverse: la pizza, che sia napoletana, romana o contemporanea, è un piatto completo e identitario, con una lunga storia e una varietà incredibile. La pinsa, invece, nasce come reinterpretazione moderna di un concetto di panificazione leggera, pensata per un consumo più informale e versatile.
Diversi pizzaioli la propongono accanto alla pizza classica, per offrire un’esperienza diversa — più croccante, meno impegnativa, perfetta per la pausa pranzo o l’aperitivo.
Oggi la pinsa è diventata un piccolo simbolo della Roma contemporanea: una via di mezzo tra tradizione reinterpretata e successo commerciale, con una forte identità visiva e gustativa.
Certo, dietro il nome “romano” c’è anche un ottimo lavoro di marketing e una paternità ben definita, che rendono il prodotto forse meno “popolare” e più “aziendale” rispetto al mondo pizza. Ma resta il fatto che, nelle sue versioni migliori, la pinsa è un prodotto gustoso, leggero e tecnicamente interessante — una focaccia evoluta con un’anima tutta romana.