Scrittori, produttori, classifiche: cosa non va nel Mondo Pizza

chiudiamo il cerchio su cosa alimenta un clima tossico nell’ambiente

Rubrica di Antonio Fucito — 4 settimane fa

Il mondo pizza è parecchio affascinante per chi lo racconta, poiché al suo interno esistono storie che meritano di essere portate alla luce, senza dimenticare il nobile scopo di scovare quelle realtà da mettere sotto i riflettori e dare in “pasto” a tutti gli appassionati.
Ma esiste anche un sostrato spesso invisibile per il lettore finale, fatto di dinamiche quantomeno discutibili che alimentano una certa tossicità tra i pizzaioli, i produttori e chi ne scrive.
E così, dopo avervi raccontato dei pizzaioli che non accettano le critiche, ma solo elogi, è il momento di scoperchiare il resto del vaso di pandora, al netto di alcune banalità già ben conosciute.
Non farò nomi specifici, altrimenti si entra in un campo minato di querele da parte di persone e organizzazioni che sanno di essere in torto, ma come tutti i pavidi utilizzano la pratica della minaccia e della lamentazione per gonfiarsi e incutere perlomeno timore. Sappiate che sono tutte cose comprovate da messaggi e dinamiche vissute in prima persona, e francamente non mi interessa fare un’inchiesta con tutti i crismi del caso, perché si tratta comunque di una piccola parte, seppur molto rumorosa, nel mare di pizzerie, aziende e persone degne di stima.

Molti esponenti del settore si ritroveranno in questa lettura, l’importante è fissare un punto per andare avanti e concentrarsi, come sempre, su tutto il buono che c’è, abbracciando quella inesauribile voglia di pizza.

Dicevamo del racconto del mondo pizza, ingrediente importante per indirizzare i gusti dei consumatori, a loro volta avidi di esperienze degne di questo nome. In parallelo la necessità di rendere profittevole la propria pizzeria e la fame di riconoscimenti e visibilità sono obiettivi importanti, ma anche pericolosi nel momento in cui le dinamiche che ho elencato non sono in perfetto equilibrio tra loro.
Senza dimenticare un altro ingrediente che contribuisce a tale mappazzone, quei produttori di materia prima che hanno tutto l’interesse nell’indirizzare alcune dinamiche nell’ottica di piazzare il proprio prodotto, al di là delle sue qualità.

Per rendere più fruibile quello che non va, ho deciso di dividere tutto per categorie, collegando ciascuna alla successiva.

Gli scrittori e giornalisti

La prima domanda da farsi è relativa al compito che debba avere chi scrive di pizza. Semplificando, raccontare storie degne di questo nome, scovare realtà interessanti, giudicare in maniera positiva o negativa per dare un servizio ai lettori su dove andare e cosa evitare.
Tutti possono farlo, formandosi a livello professionale o meno, acquisendo esperienza sul campo e in realtà specifiche, affinando al contempo la propria capacità di giudizio e di conoscenza della materia prima; da autodidatti o avendo grandi mentori.
Credere che avere il tesserino da giornalista pubblicista o professionale sia condizione esclusiva o sufficiente per fare tali cose è la cosa più lontana dalla realtà, perché esistono tanti casi virtuosi senza, tanti casi negativi con.

Quali sono questi ultimi? Scrittori che giudicano solo positivamente sull’altare di un pasto gratis e l’incapacità di fare critica, che vanno sempre nei soliti posti senza avere la minima conoscenza di cosa significhi fare questo mestiere, che si arrabbattano per portare a casa la pagnotta nella maniera più svilente possibile.

C’è chi promette un fantomatico successo ai pizzaioli che li seguono, chi di fatto vende i prodotti partner delle proprie attività, chi non dichiara quando i pezzi sono pubblicitari infilando magari un giudizio quando non dovrebbe.
Se qualcuno si fa influenzare, poi, per una cena offerta da 30-60-90 euro, dovrebbe pensare di fare un corso accelerato di spina dorsale e chiedere come si fa a chi recensisce altri prodotti di intrattenimento o va in giro per il mondo per press tour, dove le parti economiche in ballo sono nettamente superiori.

Ma queste cose accadono anche alla luce del sole, con giornalisti che lavorano per uffici stampa o agenzie di comunicazione, rappresentando realtà o gruppi di ristorazione specifici, in completa antitesi con chi dovrebbe fare questo mestiere senza accavallare le due cose.

Mi rendo conto che il mondo dell’editoria, oggi, fa una fatica enorme a garantire stipendi adeguati e soddisfazioni professionali, ma lavorandoci da oltre 25 anni, sono sempre più consapevole che debba essere mosso anche dalla passione e dalla vocazione, altrimenti si può fare il salto completo della barricata e forse, anzi probabilmente, si possono avere anche maggiori soddisfazioni economiche.

Margherita (Pucci e Manella)

Le agenzie di stampa e di comunicazione

Queste due categorie esistono dallo specchio dei tempi e in diverse forme, adesso sono super potenze che rappresentano anche una moltitudine di pizzerie e ristoranti, garantendo uscite su testate locali e nazionali, siti e account social tra i più disparati. Ma può capitare di esagerare acquistando articoli ad insaputa o meno dei pizzaioli – spacciandoli quindi per meritocratici – oltre che di gestire le eventuali critiche nella maniera più sbagliata possibile. Anche in questo caso alcune dinamiche mi sembrano così arretrate rispetto ad altri settori dell’intrattenimento, incuranti del fatto che attività virtuose di comunicazione possono essere nettamente più efficaci di marchette mascherate o richiesta articoli anche in questo caso in cambio di un pagamento o pasto gratuito.

Non di rado in queste agenzie lavorano scrittori/giornalisti che poi magari continuano a scrivere di cibo, mentre al contempo rappresentano pizzerie e ristoranti: come ci si può fidare e fare bene il proprio lavoro? Mistero della fede.

Gli influencer e content creator

Le enormi opportunità date dai nuovi canali di comunicazione hanno permesso a un bel po’ di persone di emergere con pochi mezzi a disposizione e trasformare la propria creazione di contenuti in un lavoro ben renumerato, col supporto di grande visibilità e di una fanbase corposa.
Al netto dei casi virtuosi che pur ci sono, questo tipo di professione è indicata soprattutto in chiave visibilità e divulgazione di prodotti ed esperienze, molto meno in quella critica.
Per tanti influencer, infatti, è tutto super buono e porcoso, ci si avventura nel giudizio quando non si hanno le basi e si fa un disservizio enorme ai lettori, che poi puntualmente vengono delusi quando vanno in un posto che magari ha pagato i servizi dell’influencer di turno, oppure prepara il prodotto da copertina che non corrisponde con quello che arriva nel piatto.

Manca quella dose di genuinità, infine, perché sull’altare della viralità tutto conta, tutto va bene.

I produttori di materie prime e i distributori

Altro capitolo molto sentito, perché la materia prima e il suo approvvigionamento sono fondamentali per il fatturato di una pizzeria. Purtroppo a certi livelli e condizioni si creano delle “squadre” nelle quali se si utilizza un prodotto, si è “nemici” di quello della concorrenza; perfino farsi fotografare insieme a colleghi legati ad altri marchi non viene ben visto e anzi osteggiato dal proprio fornitore.

In cambio di cosa? Spesso di nulla nella pratica, oppure di promesse di partecipare ad eventi o ricevere riconoscimenti, insomma essere coccolati a livello mediatico: una cosa davvero deprimente agli occhi di chi racconta questo mondo, perché si tratta di un rapporto tra aziende differenti e nessuno dovrebbe scavallare il proprio ruolo. Solo la qualità e le opportunità di sviluppo reale dovrebbero far pendere la scelta verso un prodotto piuttosto che un altro.

Pensate che esistono distributori i quali, per accalappiare e tenersi buone le pizzerie in relazione ai prodotti che vendono, comprano articoli su testate e li fanno passare come casuali o meritocratici, facendo intendere – ovviamente non direttamente – che possano garantire maggiori vantaggi. Concorso di colpa da parte di tutti, quindi, perché alcuni di questi distributori davvero hanno un peso politico sulla stampa e progetti collegati.

Questo tipo di pressione si manifesta, infatti, anche verso blog, magazine e testate giornalistiche, dove chi sponsorizza pretende che nell’evento o nella classifica compaiono “propri pizzaioli” o che non ne compaiano altri, travisando che essere partner di un sito o progetto significa creare sinergie ed opportunità, non influenzare la linea editoriale.

Ed è questo il mio più grande motivo di orgoglio, mettere sempre le cose in chiaro con i partner, esplicitare sempre le collaborazioni e lavorare con diversi produttori sui diversi progetti, che tra Dissapore e Garage Pizza sono davvero tanti.

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Le classifiche e i riconoscimenti

Un’altra porta bella aperta da sfondare: è difficile capire se le classifiche generino più opportunità di visibilità per le pizzerie oppure più clima tossico, perché arrogarsi il diritto di mettere in fila la qualità di locali dislocati in ogni angolo del globo è di per se già fallimentare in partenza, poi genera una sorta di competizione e fastidio in chi non accetta questa cosa o pensa sia pilotata dai suoi creatori o dai i partner che supportano le varie iniziative – vedi punto precedente – o ancora per interessi di altro genere.

Fa tristezza sentire storie di pizzaioli che cambiano prodotti pensando di avere vantaggio in tali competizioni, che sono ossessionati dal vincere qualcosa anziché curare i propri clienti e riempire la sala, che si fanno il sangue amaro come se fosse la loro unica ragione di vita. Questo è, sempre per casi specifici.

Personalmente preferisco le selezioni in luogo delle classifiche, il metterci la faccia e la firma anziché l’anonimato e le dinamiche non chiarissime; ma al di là di questo, ci sono casi virtuosi o meno in entrambi i modus operandi, quindi il problema risiede sempre nella sensibilità delle persone, nella coscienza morale e nella genuinità del proprio lavoro. Quando la priorità assoluta è fare soldi ad ogni costo, il risultato non ha alcuna valenza contenutistica o autoriale.

I Pizzaioli

Tutti i punti di cui sopra non sarebbero possibili se fossero disinnescati dal peccato originale, quello dei pizzaioli che permettono che avvenga tutto ciò.
Il farsi influenzare e il sovvertire le scale di priorità, dimenticandosi la propria vocazione ancor prima del fatturato, ha contribuito in maniera decisiva a creare la situazione di cui ho parlato in questo articolo.
Perché è quando c’è terreno fertile, infatti, che i semi della tossicità prendono piede; in parte anche i consumatori contribuiscono a gettare benzina sul fuoco, ma sarà argomento di un prossimo articolo.

Siamo giunti alla fine di tutta questa bile di consapevolezza negativa, una sorta si sfogo per fissare un punto e far(vi) capire che tante dinamiche tossiche non passano inosservate ed è sempre meglio starne alla larga il più possibile.
Detto questo, possiamo continuare concentrarci su tanto del bello che questo mondo ha da offrire, creando progetti virtuosi e raccontando storie in maniera genuina e consapevole; ricordatevi solamente che ccà nisciuno è fesso, mentre si mangia di gusto la prossima pizza!


Qui sotto c’è il video-podcast “Lo Scassapizza” dedicato a questo argomento, è possibile seguirlo, oltre che su queste pagine, su Apple Podcast, Spotify, Amazon Music & Audible, Google Podcast, Web Audio e RSS

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