10 cose che ho imparato sulla Pizza a Taiwan

Un viaggio alla scoperta dell'arte napoletana nello stato insulare

Rubrica di Giuseppe A. D'Angelo — 2 ore fa

Qualche tempo fa ho trascorso due settimane a Taiwan. Era da qualche anno che volevo visitare lo stato insulare al largo della Cina, ma la pandemia ci ha messo naturalmente il becco. La riapertura ai turisti è avvenuta a ottobre 2022, eppure io ci ho messo ben un anno prima di riuscire a organizzare il viaggio. Anzi, non ho organizzato un bel niente: ho rimandato così tante volte la decisione che a un certo punto mi sono costretto a partire acquistando il biglietto aereo una settimana prima (benedetto sia il diretto Milano-Taipei) e prenotandomi giusto le prime tre notti, per darmi la libertà di non pianificare un itinerario.

Ma, anche se non avevo la minima idea di quello che sarei andato a visitare (spoiler: viaggo stupendo!), c’erano dei punti sulla mappa che avevo fissato già da tempo: quelli di alcune pizzerie che avrei voluto provare. Uno dei motivi per cui, qualche anno fa, avevo cominciato a sentire attrazione per la destinazione era perché avevo notato un certo movimento di interesse nei confronti della pizza napoletana. Un movimento che, ho scoperto poi sul posto, non è neanche tanto recente. Ma questa è solo una delle varie cose che ho imparato sulla pizza a Taiwan di cui parlerò in questo articolo.

Sottolineo che, per l’appunto, in questo articolo mi riferirò esclusivamente al mondo della pizza napoletana. Non ho sperimentato altri tipi di pizzerie artigianali. Né parlerò di quella bizzarra industria delle pizze dagli ingredienti folli che popolano il menù di catene internazionali come Pizza Hut o anche di quelle locali, per cui Taiwan è famosa nel mondo. Magari sarà tema di approfondimento per un secondo viaggio. Per ora la mia conoscenza si limita alle pizzerie napoletane di Taiwan che ho visitato, sette in tutto.

Pizzeria Salto di Rocco e Giovanni, Taipei

  1. Gli orari di apertura sono stati il primo shock culturale. Le pizzerie aprono molto presto il pomeriggio (generalmente alle 17.30) ma chiudono anche molto prima, intorno alle 21. L’ho sperimentato purtroppo sulla mia pelle quando, la mia prima sera a Taipei, ho viaggiato quaranta minuti per raggiungere la prima pizzeria, arrivando con buon animo da terrone poco dopo le 21, e trovando il personale che stava facendo le pulizie e stava già mettendo le sedie sui tavoli. In generale, gli orari di apertura non sono propriamente comodi. È vero che quasi tutte le pizzerie aprono anche a pranzo (anche se alcune solo il weekend), ma appena per un paio d’ore. Roba che se non becchi la finestra temporale giusta non arrivi a sederti, soprattutto se il locale richiede la prenotazione. Come stavo rischiando sia da Solo Pizza a Taipei, che alla pizzeria Amore di Taichung dove era già tutto pieno e stavo per essere messo alla porta. Un consiglio: se vi dicono che è tutto pieno non fermatevi mai al primo no e dite sempre che siete disposti ad aspettare che si liberi un posto. In entrambi i casi mi sono seduto anche molto prima rispetto ai tempi di attesa preventivati, forse perché qualche altro cliente viene sempre meno.
  2. Come ordinare la pizze. In molte pizzerie ho trovato una prassi simile a quella di tanti altri locali. Ci si accomoda al proprio tavolo, si guarda il menù, e poi ci si alza per andare alla cassa e pagare il proprio ordine. Mi è capitato anche in alcune pizzerie che la pizza non venisse servita al tavolo, ma occorreva ritirarla da soli al bancone, in pura modalità fast food. È pur vero, però, che la maggior parte di queste erano locali che contavano una ventina di posti scarsi, non certo grossi ristoranti.
  3. Le dimensioni della pizza. Tendenzialmente ho notato pizze molto più piccole rispetto allo standard napoletano. E, anzi, mi ha fatto sorridere il fatto che alcune pizzerie – come la pizzeria Salto di Taipei – consentano di scegliere tra la taglia S e la taglia L. La seconda corrisponde a una nostra classica 33 cm, non certo una pizza che io chiamerei large.
  4. I forni. Quelli a gas sono i più diffusi. In città come Taipei i forni a legna non sono ammessi. A dire il vero non ho visto un forno a legna neanche nelle altre città.

    Solo Pizza, Taipei

  5. L’acqua. È gratuita, servita nella brocca o in modalità self-service da un boccione. Un particolare che ritengo fondamentale. Sappiate infatti che l’acqua di rubinetto, in tutta Taiwan, non è potabile, e l’inquinamento delle fonti è un problema. Tanto che molte abitazioni sono dotate di filtro per ripulirla, e negli hotel e ostelli sono presenti sempre dei boccioni. Per questo motivo potete stare certi che l’acqua che vi serviranno nei ristoranti è già stata filtrata e sana da bere. Il fatto che in uno stato dove i ristoranti avrebbero motivi validi per lucrare sull’acqua in bottiglia decidano invece che debba essere gratis per tutti la dice lunga sull’arretratezza del nostro paese, dove l’acqua rimane ancora una voce importante sullo scontrino.
  6. Chi ha importato la pizza napoletana a Taiwan? O meglio, chi l’ha esportata? A conti fatti, mi è sembrato che l’intero business sia stato creato dalla farina Caputo, il brand in assoluto più diffuso, il cui logo imperversa sui grembiuli e le maglie dei pizzaioli in quasi tutti i posti dove sono stato. Assieme al logo dell’Associazione Pizzaiuoli Napoletani. Un binomio che abbiamo visto molto spesso anche in altri mercati, tanto è vero che anche a Taiwan si tiene un’edizione della Caputo Cup, il famoso campionato di pizza organizzato dal mulino di Napoli.
  7. Nel frattempo, il mercato si è espanso. La mia è solo una supposizione, e non so se siano stati davvero Caputo e l’APN a creare il mercato pizza a Taiwan, o se siano solo tra i primi marchi ad averne intravisto il potenziale. Sta di fatto che oggi ci sono vari attori nel mercato. Non solo ho conosciuto pizzaioli che lavorano anche con altre farine, ma anche un pizzaiolo rappresentante di una scuola concorrente a quella dell’APN, l’Accademia Pizzaioli di Gruaro.

    Pizzeria Posto, Kaohsiung

  8. Stili di pizza. Se tutto parte da APN e Caputo, non c’è da stupirsi che lo stile napoletano verace sia il più diffuso. Ma, per l’appunto, non è l’unico. Ho conosciuto due pizzaioli a una fiera del tè e del caffè (ennesima dimostrazione che anche qui ogni occasione è buona per fare pizza anche dove non te l’aspetteresti), che si cimentavano in quella che definiremmo classica pizza italiana al piatto. A Taipei mi sono imbattuto in due pizzerie particolari. Pizza³, dove per ogni pizza nel menù il pizzaiolo Ken te la può proporre in tre formati: napoletana, tonda romana o al taglio. E Pizza Round, dove ho conosciuto Jin, un ragazzo sveglissimo che ha imparato a fare la pizza completamente da autodidatta guardando su YouTube i video di Bonetta, Lioniello e Capuano, e appassionandosi allo stile canotto, i blend e le fermentazioni spontanee.
  9. Quanto costa una pizza napoletana a Taiwan? I prezzi di una Margherita classica variano a seconda dello stile del locale e delle dimensioni della pizza stessa: ho pagato da un minimo di 198 dollari taiwanesi (poco meno di 6€) a un massimo di 319 $ (circa 10€). Ovviamente, pizze con altri ingredienti hanno un costo maggiore. I menù non sono molto complessi e prendono diretta ispirazione dai classici napoletani. Anche se alla pizzeria Posto di Kaohsiung ho visto persino la pizza alla Bismark con l’occhio di bue.
  10. C’e una forte connessione tra Taiwan e il Giappone. E non c’è da stupirsi. Taiwan è stata sotto dominio giapponese per tutta la prima metà del Novecento, e il colonialismo ha lasciato tracce enormi sulla società e la cultura taiwanese. Ma cosa c’entra con la pizza? C’entra perché in qualche modo anche l’introduzione della pizza napoletana a Taiwan è stato frutto dell’impatto della cultura giapponese sul territorio. A differenza del Giappone, Taiwan non sembra aver avuto una generazione di pizzaioli che ha viaggiato a Napoli per imparare il mestiere. Dei pizzaioli con cui ho parlato, alcuni hanno imparato da maestri napoletani volati appositamente a Taiwan per tenere corsi; altri, invece, direttamente da pizzaioli giapponesi. Nel secondo caso, sembra quindi esserci stato un passaggio di seconda mano dell’arte (cosa che rispecchia in pieno lo spirito UNESCO). Non è un caso che si vedano spesso lavorare assieme i due pizzaioli imprenditori più conosciuti dei rispettivi paesi: Pasquale Makishima, titolare di Solo Pizza per il Giappone, e Gino Zheng, della catena taiwanese che porta il suo nome. Si potrebbero un po’ considerare come i Sorbillo dei loro paesi, con meno locali all’attivo, però.

In questo pezzo ho citato tutte le pizzerie dove sono stato a Taiwan, anche se sulla mia personalissima mappa ne ho segnate molte altre che vorrei visitare in varie città. E, proprio come in Giappone, la quasi totalità sono gestite da gente del posto. Per questo ho trovato abbastanza sconcertante che nell’ultima edizione di 50 Top Pizza Asia – Pacific l’unica pizzeria taiwanese in classifica sia dell’italiano Andrea Dalla Chiara. Certo, se guardiamo in generale allo storico di questa classifica che ha sempre privilegiato con un certo atteggiamento campanilistico i pizzaioli italiani nel mondo, non dovrei restare sorpreso. Ma credo che Taiwan abbia molto di più da dare, che i pizzaioli locali stiano facendo un lavoro brillante, e che le nuove generazioni di taiwanesi porteranno un’ulteriore innovazione tanto da far puntare riflettori molto più grandi su questo piccolo paese.

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