Domino’s Japan si scusa per una pizza “offensiva”: se la chiusura mentale non è solo italiana
La Crispy Fish and Chips pizza ha scatenato le ire di un utente di Londra. Perché non riusciamo a capire che sulla pizza non ci sono limiti?
Rubrica di Giuseppe A. D'Angelo — 3 anni fa
La notizia è di qualche giorno fa: in Giappone la nota catena di pizzerie americana Domino’s si è ritrovata a chiedere scusa a un utente per una pizza che è stata ritenuta offensiva “sia per l’Inghilterra che per l’Italia”. La pizza in questione era ispirata al fish and chips, uno dei piatti per eccellenza della cucina inglese. Gli ingredienti: pesce fritto, patate a fette, salsa tartara, salsa di pomodoro e fette di limone.
E chi sarà mai stato l’utente protagonista di questa lamentela? Il solito italiano integralista che non tollera alterazioni estreme sul piatto simbolo della sua cucina? O un giapponese, che non accetterebbe vedere uno dei cibi più amati nel suo paese torturato con una pietanza che rappresenta l’odiato imperialismo britannico?
Niente di tutto questo: a scatenere la polemica è stato il tweet di tale @marcooth, un londinese che ha espresso il suo ferale disgusto con un cinguettio che è stato supportato da tante altre persone. E la risposta di Domino’s non si è fatta attendere, anch’essa tramite tweet:
“Ci dispiace che la nostra Crispy Fish and Chips Pizza le abbia causato così tanti problemi. Noi la riteniamo deliziosa. Se si dovesse trovare in Giappone e volesse provarla ce lo faccia sapere. Possiamo organizzarci internamente per fargliela provare a gratis”.
Al di là della risposta di Domino’s, questa storia suscità ilarità e qualche pensiero su più livelli.
Il primo, è un discorso che abbiamo già affrontato in passato, quando abbiamo parlato dell’odio mondiale verso l’ananas sulla pizza. In quell’occasione abbiamo già ampiamente dimostrato come non siano solo gli italiani a gridare al sacrilegio ogni volta che vengano utilizzati ingredienti ritenuti non convenzionali.
Ma cosa vuol dire non convenzionale? Non ci addentreremo di nuovo nel discorso se un frutto esotico sia o meno legittimo sulla pizza: ci sono già ampi dibattiti in rete in merito. Ma in questo caso l’anatema è stato lanciato da un suddito di sua Maestà che ha difeso strenuamente anche l’orgoglio del suo piatto nazionale, declassato a mero condimento. Come a dire: tutto il mondo è paese, non siamo solo noi italiani a inalberarci quando ci mettono la panna nella carbonara.
Fa ridere però che la stessa persona si sia arrogata il diritto di definire cosa possa essere offensivo per noi italiani. Evidentemente senza avere cognizione della nostra variegata cultura gastronomica, che ci porta a essere conflittuali persino da una regione all’altra. Perché ai suoi occhi, la pizza è Italia, e noi italiani siamo tutti d’accordo su cosa possa o non possa andare sulla pizza.
Vorrei avere la possibilità di poter regalare un corso accelerato di cultura italiana della pizza a questo signore. Magari lo porterei in giro per l’Italia, per fargli vedere quante cose strane e bizzarre riusciamo a fare con un piatto così semplice. A partire dagli stessi ingredienti che compongono il fish and chips: credo che rimarrebbe abbastanza sorpreso nello scoprire che da noi patatine fritte e pesce sono tra gli ingredienti più ricorrenti tra le pizze di tutta Italia.
Ok, mi direte, è differente: là si trattava di un intero piatto preso e messo sopra un disco di pasta. Qualcosa che in Italia non faremmo mai. Se non fosse che tutte le più recenti tendenze in materia di pizza negli ultimi anni si basano proprio sul recupero di ricette tradizionali rielaborate direttamente sulla pizza. Una volta però non occorreva essere particolarmente creativi: c’è chi a Napoli farcisce direttamente i calzoni con la pasta al forno!
Al londinese, poi, spiegherei che persino noi italiani non ci capacitiamo di come possano essere trattate le pizze in alcune regioni. Un esempio abbastanza emblematico è la pizza Rossini di Pesaro, condita con salsa di pomodoro, uova sode e maionese. Considerata un obbrobrio in tutto lo stivale, una delizia nella città marchigiana.
In generale, però, sarebbe un altro il discorso da affrontare con questo signore. E la chiave sarebbe nello spiegargli il concetto di localizzazione. La pizza è il piatto più democratico del mondo o, per dirla alla Jacques Attali, “universale, perché si limita a una base comune, l’impasto, sul quale ciascuno può disporre, organizzare ed esprimere la sua differenza”. E le differenze, guarda un po’, riflettono la cultura e la disponibilità alimentari dei diversi paesi.
In Italia possiamo dirci fortunati per l’enorme varietà di ingredienti con cui possiamo divertirci a creare ricette elaborate. Ma ciò non vuol dire che in altri stati siano da meno. La pizza infatti assume connotati ben precisi in ogni paese accogliendo quelli che sono gli alimenti più tipici della cucina locale. Personalmente ho mangiato pizze kosher, con pulled beef o con aghi di pino al posto del rosmarino e sono stato sempre molto soddisfatto.
Ed è esattamente lo stesso ragionamento applicato da una catena come Domino’s, e in generale i franchise di fast food, che studiano bene il mercato locale prima di penetrarlo con dei menù pensati appositamente. Basti pensare a come il brand si sia adattato ai gusti italiani prima di intraprendere le aperture nel Belpaese.
Si potrebbe obiettare che comunque proporre una pizza in Giappone con sopra del fish and chips sia un esemplare caso di appropriazione culturale. Ma alla fine della fiera, è stato lo stesso autore della polemica ad aver sottolineato con un ulteriore tweet “che probabilmente assaggiandola gli sarebbe piaciuta”. Forse blandito dalla gentile offerta di Domino’s? Sta di fatto che la catena si è rivolta ad altri influencer per ripulire il suo buon nome, regalandogliela per fargliela assaggiare. Se siete curiosi, potete guardare il video di akidearest in fondo all’articolo (vade refresh se non si vede).
Poi magari un giorno ve la faremo vedere noi in diretta da Tokyo.