Il clamoroso autogol di 50 Top dimostra che il Mondo Pizza ha perso
Vittima del potere della stampa, ma anche del servilismo dei pizzaioli stessi.
Rubrica di Giuseppe A. D'Angelo — 5 mesi fa
La storia la conoscete: durante la serata di premiazione di 50 Top Pizza Italia del 15 luglio 2025 è stato consegnato il premio “miglior proposta di fritti” a Roberto D’Avanzo, titolare di Bob Alchimia a Spicchi, nonostante il suo menù non proponga alcun tipo di fritto. Questo, assieme a vari altri errori, dichiarazioni improbabili e scuse tardive hanno reso la serata un piccolo disastro (per un resoconto completo e un opinione su quanto successo, potete leggere l’editoriale di Tanzen).
Molti hanno parlato di un clamoroso autogol che dimostrerebbe quanto la classifica che si autocelebra come la più influente al mondo sia completamente inaffidabile. Errori del genere danno adito a sospetti, legittimi, che non si conoscano davvero le pizzerie che si premiano. E se il trend risulta essere questo, allora volgeremo il nostro sguardo altrove verso firme più credibili e ci lasceremo alle spalle questi listoni senza criterio, giusto?
Magari fosse così. Ho paura che ci siamo affrettati così tanto a gridare che il re è nudo, che abbiamo perso di vista la reale natura del problema. E cioè che il mondo pizza ha perso. E ha perso sotto tantissimi punti di vista.
Ha perso l’occasione di essere un settore credibile della gastronomia contemporanea. Un laboratorio dove professionisti possano incontrarsi a porte chiuse per sperimentare, incrociare idee, scambiare culture, alimentare crescita. E non invece un teatro dove l’ambizione massima è quella di salire su un palcoscenico per vedersi consegnata una vetrofania di fronte a una sala gremita di pari.
Ha perso la sua voce di fronte a quella più alta, roboante, potente della stampa, che si arroga il diritto di celebrare primati ed effigere icone. Che decide quali sono gli eroi da innalzare e le vittime da sacrificare. Che tiene in ostaggio – come già scrissi a suo tempo in un’altra sede (a questo indirizzo invece il podcast di Tanzen dedicato a questo argomento) – i pizzaioli che non si allineano ai dettami del quarto potere, quelli che segretamente vorrebbero mettere in discussione il sistema ma non hanno le spalle grosse per ribellarvisi. O non vogliono averle.
Ha perso per il servilismo dei pizzaioli. Quelli che commentano dietro le quinte, tra chat private, in segreto, ma che se provi anche solo a chiedergli di prendere una posizione in pubblico la risposta che si riceve è un’assordante omertà. Un servilismo che li porta a decantare anni di sacrificio, impegni e studi per poi rinnegarli prontamente di fronte ai riflettori. È successo con le telecamere di Report. Ed è successo di nuovo la scorsa serata, quando, nell’imbarazzo e forse per educazione, la prima reazione è stata quella di salire sul palco a ritirare un premio ingiustificato per non creare scompiglio tra i curatori della classifica di fronte a centinaia di persone. Eppure poteva essere una buona occasione approfittare di quel palco per ribadire la propria filosofia e le scelte di cucina. Tanto un errore da parte degli organizzatori ci può pure stare, cosa sarà mai? E poi, cosa è più importante: la dignità di chi mette nella sua professione cuore, cervello e anima ogni santo giorno per creare attorno a sé una comunità di appassionati; o salvare la faccia a chi non si premura nemmeno di fare il lavoro che il proprio titolo dichiara, ovvero “curarla” la classifica?
Ha perso per l’ipocrisia dei pizzaioli. Sì, ancora loro. Perché ci vogliono due persone per ballare il tango e questa danza demoniaca è condotta in egual misura. È l’ipocrisia di chi critica l’operato dei redattori di guide e classifiche con un “è tutto un magna magna”; salvo poi rimangiarsi ogni parola quando accede all’eden aspirato, decantando una 500esima posizione come il meritato riconoscimento di anni di sforzi, con pipponi autoincensanti che manco avessero vinto la coppa del mondo. L’ipocrisia di chi ti dice a chiare lettere che queste classifiche sono tutte una buffonata, ma che ammette che farebbe carte false per potervi accedere. False, come la falsità dei ringraziamenti verso i curatori che “accendono un faro su queste lande desolate”, con pioggia di tag sui social il giorno dopo la premiazione.
Un mondo pizza perdente che, mi duole dirlo, è tutto italiano. Perché questo continuo ossequio di fantozziana memoria non lo riscontriamo assolutamente tra i pizzaioli di altri paesi. Che prendono e portano a casa il premio, e tutto quello che fanno è sfruttarne le potenzialità di marketing – come è giusto che sia – appiccicando sul menù il logo dell’ennesima classifica assieme a tutti gli altri premi, fossero anche quelli della sagra di paese, esposti in egual misura. Perché dell’autorevolezza a loro non gliene frega nulla, né gli interessa leccare i piedi per raggiungere posizioni elevate. Basta essere una award-winning pizzeria per battere cassa: non è questo quello che conta alla fine?
Ma no, il mondo pizza in Italia ha perso anche perché siamo ancora il paese dell’apparenza opposta alla sostanza. Lo sanno bene quei pizzaioli che fanno un prodotto obiettivamente mediocre ma riescono a ricavarci milioni vendendolo a colpi di reel: è l’abito che fa il monaco. I pochi capaci di fare davvero business indossano l’abito dell’imprenditore. I visionari dell’impasto e dei topping indossano quello dell’artista. Ma sono davvero pochi, gli eletti. La maggior parte degli umili artigiani non può aspirare a tanto, ed è lì che subentra il meccanismo perverso delle classifiche: per fare indossare loro l’abito del calciatore da figurina.
E il mondo pizza ha perso perché, per quanto possiamo sgolarci, di questa storia vi sarete già dimenticati domani. Anzi, sono sicuro che ve ne siete già dimenticati anche ora che state leggendo queste righe. Nel frattempo i curatori delle classifiche vantano rassegne stampa da capogiro, sapendo benissimo che siamo solo una ristretta nicchia di nerd a sbattere la testa su tali questioni. Tutto quello che i media vogliono sono titoli clickbait per portare traffico ai server. E il lettore finale un elenco bello e fatto di luoghi dove andare a mangiare, troppo pigro per consultare TripAdvisor. Tanto, a pensarci bene, tra la piattaforma di recensioni e una classifica non passa poi così tanta differenza: il sospetto che molte delle schede possano essere inventate di sana pianta è lo stesso.
Il mondo pizza ha perso, ma può tornare a vincere. Non tutto è perduto. Quando descrivo uno scenario drammatico come quello di sopra, guardo solo a un angolo, quello più ostentato. Ma è un mondo che è composto anche da un nutritro sottobosco di artigiani in gamba che non cercano la fama, e che senza l’aiuto dei giornalisti riempiono lo stesso i tavoli rendendo felici le comunità in cui vivono. Fosse anche che i clienti sono gli stessi che tornano ogni settimana a mangiare la loro pizza: chi se ne frega se non siedo l’australiano che ha preso un aereo apposta perché ha letto di me sul New York Times?
E, sul versante opposto, ci sono tanti narratori davvero appassionati, il cui scopo di vita è trovare storie da raccontare, aprire una finestra su attività nascoste del paese, senza aspettarsi riconoscimenti, ma solo per il puro piacere di condividere. Così come ci sono lettori che quelle storie desiderano conoscerle, perché hanno bisogno di andare oltre la sterilità di un elenco di posizioni che non ti dice niente né della pizza, né del pizzaiolo o della pizzeria. Siamo di meno, certo: ma non vuol dire che siamo pochi.
Mi piacerebbe fare un appello ai pizzaioli per invitarli a risalire questa china di perdenza: siate orgogliosi del vostro lavoro. Ma un orgoglio che non si esprima solo a parole, con triti concetti di identità, territorio, veracità o patrimonio mondiale. Siate orgogliosi della vostra individualità, quale che sia. Alzate la testa, non fatevi catturare dalle lucciole di chi vi promette onore e gloria. E, soprattutto, se avete già raggiunto una posizione reale di autorevolezza nel settore con impegno e una buona comunicazione, non fatevi sfruttare da quei parassiti che vogliono impadronirsi della vostra luce. Sappiate dire di no con cortesia, senza arroganza, fermi e fieri di ciò che siete, e che siete stati in grado di costruire. Ricordatevi che sono i giornalisti ad aver bisogno di voi, e non il contrario. Facciamo in modo che tristi episodi come quello della scorsa serata non si ripetano più.