La pizza d’asporto in Campania è vietata: la parola ai pizzaioli
Abbiamo chiesto il loro parere dopo un mese di "chiusura totale" in Campania
Rubrica di Nunzia Clemente — 5 anni fa
La pizza d’asporto in Campania è vietata: l’unica regione d’Italia ad aver preso questo provvedimento sin da subito. Non solo la pizza, chiariamoci. Sono vietati l’asporto ed il delivery di cibi freschi e pronti da parte di alcune categorie commerciali segnalate attraverso gli ormai famosi codici ATECO (le industrie dolciarie, per intenderci, possono vendere dolci confezionati). Nella categoria del “no” rientrano anche le pizzerie e le trattorie.
Sicuramente, l’asporto con i propri fattorini ed il delivery attraverso piattaforme terze non risolverà la crisi che inevitabilmente investirà il comparto ristorativo. Ma pensiamo, giustamente, che i ristoratori campani debbano potersi mettere in pari ed avere le stesse possibilità dei colleghi di altre regioni.
Qualunque sia il motivo della decisione della giunta regionale è ora, da parte dei ristoratori e dei pizzaioli, di fare delle proposte concrete, fattibili, per “provare” una riapertura che sia quanto più sicura possibile per tutti: dal primo all’ultimo “ingranaggio” della catena. E noi, dal canto nostro, siamo sicuri che tantissimi professionisti del settore siano assolutamente capaci di soddisfare le richieste di sicurezza date dal periodo Coronavirus. Anzi: forse questa è l’occasione giusta per dimostrare che è possibile avere un delivery ben pagato, sicuro per tutti.
Ripetiamo: non è la soluzione del problema, ma una possibilità del “presente” di provare a ripartire e di rimetterci accanto alle altre regioni d’Italia. Per questo è importante parlarne, lasciare agli addetti del settore la possibilità di esprimersi anche con pareri discordanti, perché le proposte concrete vanno avanzate ascoltando l’opinione di tutti.
Ciro Salvo di 50kalò è stato tra i primi a lanciare un allarme, attraverso un lungo post sulla sua pagina Facebook. Il pizzaiolo chiede, appunto, ai suoi colleghi di “fare gruppo”, per mettere sul tavolo delle proposte concrete. Le adesioni, non sono mancate: a ruota, Gino Sorbillo l’ha seguito con la sua mediaticità, seguito ancora da nomi illustri del mondo pizza campano: Salvatore Santucci, Enzo Coccia ed altri. Massimo di Porzio, patron della trattoria Umberto di Napoli, ha deciso di raccogliere le adesioni insieme a Confcommercio Campania ed il FIPE, in modo tale da strutturare un tavolo di proposte. L’hashtag ricorrente in questi giorni per i social è #iovoglioriaprire.
Gino Sorbillo, in un’intervista a La7, rende esplicite le modalità che andrebbero ad adoperare: due collaboratori dietro il banco – un pizzaiolo ed un fornaio, quindi le “distanze di sicurezza” sarebbero rispettate (perlomeno, nelle pizzerie già a norma di legge in tempi tranquilli) – due pizze in carta, in modo da evitare quanto più possibili la manipolazione di diversi ingredienti e la consegna effettuata attraverso le piattaforme di delivery, in modo tale da tenere sotto controllo tutti gli “incontri” e gli spostamenti.
Le opinioni nel mondo pizza riguardo il sì al delivery, no al delivery della pizza, sono molte e non tutte perfettamente concordi. Abbiamo cercato di sentire l’opione sia di imprenditori di pizzerie molto grandi, che di quelli di pizzerie molto più piccole, sia a Napoli città che nelle province campane.
Alessandro Condurro, patron di Michele In The World e dell’Antica Pizzeria da Michele a Napoli, di certo non è un pizzaiolo, ma un imprenditore molto conosciuto nel mondo pizza: la sua è una opinione decisa. “Di sicuro con il delivery non ci faccio le mie 1200 pizze al giorno, ma il dato psicologico è importante. I miei ragazzi a Roma Flaminio sono felici anche con 200 pizze d’asporto al giorno, il guadagno basta appena per le spese ed a volte nemmeno quelle. Ma bisognerà adattarci a questa nuova realtà ed è meglio partire da subito, anche in Campania e soprattutto per le piccole realtà familiari che vivono d’asporto.”
Francesco Salvo della Pizzeria Francesco e Salvatore Salvo, invece, si pone in una condizione di neutralità rispetto al sì al delivery, no al delivery: “Per le mie pizzerie, il delivery è un guadagno irrilevante. Il nostro food cost è alto, per non parlare delle trattenute che richiedono le piattaforme per il delivery, che vanno dal 20% al 30%. Resta ben poco in cassa, soprattutto se tutte le pizzerie di Napoli riaprono con il delivery non si riuscirà a fare un numero importante da giustificare l’impresa. Poi, ovviamente, posso sempre sbagliarmi. E, qualora ci verrà permesso l’asporto, sarò di sicuro in pizzeria ad organizzare ed offrire il servizio. La soluzione delivery, al momento, è più interessante per le micro realtà che per una realtà come la nostra.”
Opinione comune, quindi, che l’asporto possa salvare centinaia di micro-realtà. Come ad esempio la bella realtà di Marco Pellone, Pizzeria Ciro Pellone alla Loggetta. “Già dal weekend precedente il decreto di chiusura, avevamo lavorato praticamente solo d’asporto: in sala entrarono sei persone per mangiare la pizza al tavolo, la serata l’abbiamo passata a consegnare pizze. Ed abbiamo lavorato moltissimo. Ma la nostra, essendo una piccola pizzeria di quartiere molto radicata nella sua realtà, lavora principalmente d’asporto, soprattutto nella prima parte della settimana. L’apertura con delivery potrebbe darci una decisa boccata d’ossigeno. Bisognerà ovviamente continuare a rispettare tutti i canoni di sicurezza, che già c’erano da prima a dire il vero. Il ragazzo delle consegne, prima della chiusura, lavorava con tutte le protezioni necessarie ed il disinfettante liquido a portata di mano, la consegna avveniva “senza contatto”. In futuro? Prevedo un calo dello scontrino medio, anche perché la gente avrà paura di stare a contatto ravvicinato come lo era prima, ma soprattutto si penserà molto a come spendere i propri soldi.”
In provincia, c’è chi fa un’analisi molto lucida della situazione. Ci spostiamo a Poggiomarino (Napoli) dove c’è Raffaele Boccia della pizzeria-trattoria Nanninella. Raffaele, oltre che pizzaiolo, è imprenditore della sua attività, che è molto conosciuta e radicata sul territorio sia per la proposta di pizza che per la proposta di cucina. “Non sono ottimista riguardo la proposta di aprire per l’asporto, ti faccio degli esempi per aiutarti a capire. Al momento, i miei dipendenti sono tutti in cassa integrazione in deroga. Questo prevede che tutti – indipendentemente dal salario – ricevano l’80% di uno stipendio “normale”. Qualora si potesse riaprire, non sono sicuro che i numeri dell’asporto possano aiutarmi a dar loro uno stipendio completo. Prima del blocco totale, siamo riusciti a fare due giorni di solo asporto: abbiamo lavorato pochissimo, a fronte della gigantesca macchina che ho dovuto attivare per preparare le linee. Io ci penso alla riapertura e, quando ci sarà permesso di riprendere le attività, avrò un sistema di prenotazione con 60 posti a sedere per volta. Il problema dell’asporto poteva essere sicuramente gestito meglio dall’inizio, poco ma sicuro.”