Se c’è un aspetto che viene messo in secondo piano quando si tratta di realizzare una pizza, anche dal punto di vista mediatico, è la manipolazione del panetto dopo lo staglio, quella che permette di creare il disco di pasta che accomoda le farciture e viene servito nel piatto.
La volgare stesura, che con pochi passaggi può regalare un bilanciamento tra impasto e ingredienti completamente differente, che si riversa anche sull’estetica.
La tendenza degli ultimi anni nel fotografare il cibo, unita a quella dei social che fanno il bello e cattivo tempo, ha creato spesso dei piccoli mostri, a partire da quella pizza a canotto prima versione – termine orribile ora in disuso, pure una barchetta di legno sarebbe stata meglio – col cornicione enorme e non di rado “panoso”, soprattutto in seguito alla lavorazione non perfetta con i prefermenti.
Una tipologia di stesura da big likes, che però “regala” un equilibrio tra le componenti spesso insoddisfacente, con l’aggravante che tante nuove leve, per seguire tale moda, creano prodotti assolutamente anonimi come qualità complessiva.
Si continua infatti a creare pizze pompose con tanto impasto senza condimento, al punto che sì, è bello mangiarne una elaborata con ingredienti fighi, ma rimane quella sensazione di poco e incompiuto.
Le mode, però, prima o poi finiscono o si attenuano, mentre i capisaldi rimangono e ritornano magari in forma moderna con qualche miglioria: d’altronde se la pizza è stata declinata e si è diffusa in una certa maniera per decenni e più, ci sarà un motivo.
A proposito, avete letto delle prime testimonianze scritte sulla pizza sotto forma di libri, datate 1841?
Quindi, qui lo dico e non lo nego, nessuna tipologia di pizza è in grado di rivaleggiare con quella proveniente da una stesura a ruota di carro.
Che ovviamente uso come iperbole per indicare una pizza dal cornicione contenuto (va bene anche più grande, non andate in panico) che da grande spazio alla farcitura, magari su un disco di pasta sottile al centro.
Si tratta di affondare il morso ed essere avvolti dai sapori che si integrano con un impasto percepibile fino ad un ultimo assaggio in solitaria, senza riempirsi la bocca con qualcosa di asciutto. Indubbiamente sono necessarie buona tecnica e lavorazione specifica a monte, ma la cosa bella è che, come dicevo qualche riga più su, una stesura del genere può essere frutto anche di lavorazioni moderne che curano al dettaglio lievitazione e maturazione, anche a partire da diverse dimensioni del panetto.
E allora via di esempi per appagare la vista, a partire da quello storico dell’Antica Pizzeria da Michele, di cui vi mostro però una pizza realizzata nella sede di Yokohama, in Giappone:
Qui sopra sfioriamo i 300 grammi, ma in realtà basta andare fuori la stazione centrale di Napoli per i 260 grammi di panetto che ospitano una provola e pepe realizzata da Franco Gallifuoco:
Oppure fare un salto a Milano da La Pizza Popolare, che replica le grandi carrette con una lavorazione moderna:
Nella declinazione super classica della ruota di carro è ammessa anche qualche imperfezione nella sua circonferenza e vi dirò, queste pizze da Instagram super tonde sono talvolta un po’ noiose, anche perché poi vai a mangiare in pizzeria e vedi che non sono proprio uguali a quella pubblicata sui Social Network.
Dopo tale flusso di coscienza è chiaro che in questo articolo ci siano forzature e assolutismi che volutamente ignorano i tanti casi virtuosi delle altre stesure utilizzate; ma è per far capire l’antifona e ricordarvi che gira e rigira, non bisogna dimenticare qual è il compito principale di una pizza, quello di soddisfare gli occhi ma soprattutto il palato, l’ultimo fattore che si stampa nei ricordi e decreta il godimento supremo, fino al desiderio della prossima pizza.