Le parole di Briatore sul mondo Pizza: follia o fondo di verità?
Il suo Crazy Pizza arriva a Roma, per risollevare un ambiente di cui ha scarsa conoscenza
Rubrica di Simona Della Valle — 3 anni fa
In questi giorni fa tanto bruit la notizia dell’imminente apertura del locale Crazy Pizza di Briatore in quel di Roma e dopo aver ascoltato l’ultimo episodio del mio podcast del cuore ovvero Che pizza podcast degli esilaranti Peppe d’Angelo e Simon Cittati, ho pensato fosse il momento di dire la mia.
Partiamo dall’uomo dietro l’ambizioso progetto: chi è Flavio Briatore? Un impreditore, un self-made man il cui nome è legato a marchi come Benetton e Renault, pioniere di un nuovo concept di locali destinati a diventare un “cult”, un punto di riferimento per generazioni a cominciare dal ’98 con il Billionaire. Anche questa apertura fu giustificata dall’imprenditore con l’intenzione di ridare splendore alla Costa Smeralda; stesso intento di riqualificazione con il Twiga di Otranto ma con un finale infelice, un fiore reciso prima ancora di sbocciare, accompagnato da polemiche riguardo vari commenti coloriti su “musei, prati e frise”.
Ma si sa, il buon Flavio è un provocatore che fa del suo essere controcorrente, fuori dalle righe e irriverente, parte della sua forza e… strategia che vince non si cambia.
Ecco quindi nascere, sulle scie provocatorie di cui prima, il suo ultimo progetto, il Crazy Pizza, anche questo pensato per risollevare le tristi sorti di Roma e riportarla ai fasti della Dolce Vita. E subito a sentir nominare pizza, noi italiani ci sentiamo chiamati in causa e dobbiamo dire la nostra, che poi è quasi sempre un giudizio che rema contro a prescindere senza nemmeno spesso sapere cosa stiamo criticando, perchè a parlare non siamo nemmeno noi, ma il patriottismo enogastronoimico insito in ciascuno di noi.
Indignarsi per la combo Briatore + Pizza? Un momento…
Inizialmente anche io sono stata pervasa da un senso di indignazione nato dall’accostamento Briatore/pizza, coadiuvato anche da un’immagine di una sua crazy pizza che effettivamente non aveva un piffero in comune con quella che ho in mente io (e la maggioranza degli italiani, spero). Ma poi, sbolliti gli animi, ho osservato a mente lucida e sguardo distaccato tutta la situazione, come un detective che osserva il tabellone con indizi e indiziati per risalire al colpevole e mi sono chiesta: esattamente, di cosa stiamo parlando? Ebbene signori la risposta è di una grande ed emerita fuffa.
Il perché delle mie parole è presto detto: fermo restando l’antipatia atavica che determinati personaggi di successo possono scatenare (perché si sa che l’uva che non possiamo avere diciamo sempre che è acerba), qui secondo me manca proprio il terreno sul quale giocare una partita tra le due parti ovvero Briatore versus il resto del mondo!
Il buon Flavio, pur utilizzando il termine pizza, che non è un marchio registrato non ha copyright ed è di dominio pubblico, non ha la benché minima intenzione di paragonarle alla pizza che fa parte del nostro immaginario, basta dare uno sguardo al suo sito o leggere le sue interviste. Sono andata sul sito del Crazy Pizza di Roma e la prima cosa che salta agli occhi è l’uso unico ed esclusivo dell’inglese, come già a segnare un distacco tra nobili e plebei, un dire “ehi, qui stiamo ad un livello superiore!”. Continuando poi sul sito troviamo una chiara dichiarazione d’intenti: “This is no an ordinary pizza restaurant”.
Quello che si offre infatti è un nuovo concetto di food experience, il pasto diventa qui “sleek and playful”. L’attenzione non è sull’alimento in sè, la pizza infatti diventa un mezzo per un fine più alto ovvero portare a tavola un’italianità da clichè, intesa come passionalità, atmosfera vibrante e soprattutto divertimento. Un po’ come dire pizza, sole e mandolino! Eh sì perché l’esperienza a 360 gradi non inizia e finisce con la pizza che a dirla tutta sembra quasi un danno collaterale ma continua con musica ed esibizioni acrobatiche di dischi di pizza e finisce con l’esperienza di una mozzarella fatta e gustata nella stessa giornata.
Tornando alla pizza è specificato che con la loro ‘ricetta Top Secret’ si è giunti a un’appagante reinvenzione dell’iconico cibo italiano per antonomasia. Con grande soddisfazione si mette in risalto la sottigliezza estrema del cornicione nonché la leggerezza. Per non parlare del fatto che con orgoglio Briatore redarguisce i “cretini” che hanno criticato l’eccessiva rigidità della sua pizza le cui fette non si piegano affermando che tutto ciò che si ammoscia non va bene.
Alla luce di tutto ciò io mi chiedo, perchè offendersi? Perché sentirsi chiamati in causa? NON è una pizza napoletana, né contemporanea, né verace, né tantomeno romana. È un “prodotto” come lui stesso lo definisce alla stregua delle pizze surgelate o delle catene di franchising.
Di questa vicenda più che soffermarmi alla facciata come spesso si fa, andrei oltre la punta dell’iceberg e conserverei la mia indignazione per altro. Nella fattispecie per alcune osservazioni basate su una concezione delle pizzerie attuali del tutto errate. Da imprenditore, Briatore osserva che a Roma manca un brand, non pizzerie, di quelle ce ne sono a bizzeffe “Pizza Antonio, Pizza Giuseppe”. Afferma che le comuni, per non dire plebee pizzerie, offrono la pizza su tavoli spogli o non apparecchiati, hanno un servizio approssimativo insomma tutta roba da far scappare via i clienti a gambe levate.
Il suo locale invece, guai a chiamarlo pizzeria, offre un contesto chic a differenza della solita mise en place da pizzeria qualunque. Ora, non so il buon Flavio dove vada a mangiare la pizza o da quanto non vada a mangiarsela in pizzeria, fatto sta che si è perso gli eventi salienti degli ultimi anni del mondo pizza fatti di diatribe su come questa si sia evoluta e raffinata. Si è perso la guerra tra pizzaioli a chi la fa più bella, più digeribile, più gourmet, più alta, più alveolata, più idratata, più soffice, più contemporanea.
Una concezione del mondo pizza a dir poco fuori dal tempo
Si è perso l’evoluzione che c’è stata dietro a questo fenomeno e che riguarda anche ciò che lo circonda dai pizzaioli sempre più branchè, quasi più star delle loro stesse pizze, ai locali sempre più di tendenza, più accoglienti, più moderni. Le pizzerie sono ormai locali pensati per offrire un’esperienza completa ai clienti, basti pensare al trend di avere un angolo bar o all’attenzione sempre maggiore data alla carta dei vini e perfino dell’acqua. Quindi ok all’idea di un environment esclusivo per la propria idea di pizza ma non denigrando la categoria pizzeria senza aver fatto una seria verifica di ciò che offre il mercato. Briatore d’altronde non si preoccupa di una clientela che ama mangiare ma di quella che ama divertirsi, quindi la differenza sta proprio nelle basi di partenza.
Vorrei infine porre l’attenzione su un ultimo punto ovvero l’utilizzo di un ulteriore luogo comune ovvero il connubio “ yeast-free/guilt-free”. Va bene tutto ma occhio a non fare disinformazione, perché diffondere l’idea che senza lievito è meglio (che poi non so se si intenda un sostitutivo utilizzo di un lievito madre o una sorta di pane azzimo), è come affermare cose del tipo che la pizza è più buona a Napoli per via dell’acqua.
In conclusione, che lo si ami o lo si odi, Briatore è un business man definito “Flamboyante” e ancora una volta ci ha visto lungo: ricordiamo però, quando nel lontano 2014, durante una lezione tenuta agli studenti Bocconi, gli incitava a mirare a lavori umili lasciando da parte le startup, fallimentari nella maggioranza dei casi. A suo avviso era meglio pensare di aprire una pizzeria così nella peggiore delle ipotesi restava da mangiare una pizza, con la start up nemmeno quella. Che si sia ricordato di questo suo consiglio e abbia deciso di metterlo in pratica in prima persona?