Pizza e street food: la combo perfetta in Italia e UK

Un inglesismo che è entrato di prepotenza nel linguaggio comune è “Takeaway”, complice la diffusione dei fast food americani e delle startup di food delivery. Ormai il concetto di asporto si applica pressoché a ogni tipo di pietanza. Ma prima di Deliveroo e UberEats, prima ancora di McDonald’s e Burger King è sempre esistito un piatto che si prestava bene a essere consumato in giro o portato a casa. Sempre lei, la regina: la pizza.

Se si escludono i tempi più recenti, e la nascita di pizzerie di prestigio, non è mai esistito un concetto di pizzeria che prescindesse dall’asporto. Anzi, è vero il contrario: se tutte le pizzerie con servizio al tavolo fanno anche pizza a portar via, molte pizzerie nascono invece solo ed esclusivamente per il takeaway. Un business sicuro, che abbatte i costi di personale e massimizza i profitti. A Napoli, come nel resto di Italia, come nel mondo.

E d’altronde la pizza, nelle sue infinite variazioni, si presta benissimo anche ad essere consumata come cibo da passeggio: dalla teglia romana alla pizza a portafoglio napoletana, non c’è bambino all’uscita da scuola o impiegato uscito dall’ufficio che non abbia sopperito ai brontolii di stomaco con 1 o 2 euro, prima di tornare a casa.

La pizza è lo street food per eccellenza, grazie alla sua semplicità di preparazione e di consumo, e soprattutto grazie ai costi ridotti. Non c’è da meravigliarsi che stia prendendo sempre più piede nei mercati di tutta Europa, in questa ondata di riscoperta della gastronomia internazionale che trova luogo in spazi costruiti ad hoc.

Perché se in Italia puoi comprare una pizzetta o una focaccia dalla vetrina di qualsiasi pizzeria o panetteria, e mangiarla dove vuoi, all’estero non è così semplice. In molti paesi d’Europa il cibo da strada è spesso deputato a spazi appositamente costituiti: i mercati di street food, per l’appunto.

Street Food da Well Kneaded

In questi mercati la pizza ha trovato terreno fertile per imporsi come pietanza preferita dei passanti anche all’estero. Soprattutto un tipo di pizza: quello che ricalca lo stile napoletano. Tonda, dalle dimensioni più o meno contenute, con cornicione gonfio o moderato a seconda della scuola di pensiero, ripiegabile su se stessa o da tagliare in quattro spicchi con la rotellina. Ma soprattutto, condita con una varietà di combinazioni che si rifanno ai grandi classici, ma che prendono anche ispirazione dagli ingredienti reperibili sul mercato locale.

Perché proprio questo tipo di pizza, direte voi? La domanda è legittima: la pizza di stampo napoletano non è sicuramente la più facile da riprodurre fuori sede. Gli impasti necessitano di lunghe maturazioni, la stesura a mano richiede la maestria di un pizzaiolo pratico, e anche la fase di cottura ha bisogno di forni dedicati. Perché mai chi decide di intraprendere un business del genere nel settore dello street food si dovrebbe dare tanta pena, quanto potrebbe benissimo risolvere con altre pietanze più semplici?

È un discorso che si presta a un’analisi approfondita, ma che volendo si può ridurre a due semplici concetti: marketing e cultura.

Partiamo dal secondo, che è quello che mi piace di più. Perché se stiamo assistendo a un’espansione a una diffusione virale della pizza napoletana nei mercati di mezza Europa è merito soprattutto di chi in quella cultura ci è cresciuto. Il napoletano è storicamente emigrante (con buona pace di Massimo Troisi). E tra i mestieri più facilmente esportabili c’è sicuramente quello del pizzaiolo: non importa su che stile tu lavori, la parola pizza attirerà sempre le voglie della clientela.

Ma è anche vero che se hai vissuto gran parte della tua vita da pizzaiolo (che per molti comincia anche in tenerissima età) lavorando quel tipo di pizza, quella cultura ti resterà marchiata addosso quasi come una seconda pelle. È già un gran dire che chi nasce a Napoli possiede quel gene unico dell’orgoglio partenopeo che in molte persone è costantemente attivo, e non gli fa mai rinunciare alla propria identità. Se poi sei pizzaiolo e sei cresciuto a Napoli, hai un ulteriore aspetto della tua cultura tatuato sul cuore, che è il tuo mestiere.

La lavorazione dell’impasto di Sud Italia

Il pizzaiolo con un minimo di spirito imprenditoriale ci metterà ben poco a fare due più due e a capire che all’estero guadagnerebbe molto di più nel vendere la sua pizza, che a lavorare per vendere quella degli altri. E siccome aprire un locale in molte città richiede un investimento ingente con ritorno non immediatamente assicurato, ecco che la forma dello street food si rivela la più adeguata. Non che la somma da sborsare non sia comunque cospicua: in città come Londra la presenza in certi mercati si paga cara. Ma la visibilità al pubblico è sicuramente maggiore rispetto a quella di un qualsiasi locale che possa perdersi nella vasta scelta dei ristoranti di quartiere.

E da qui passiamo al secondo aspetto: il marketing. Perché se è vero che la sola parola pizza dovrebbe essere sufficiente per assicurarsi un mercato, è pur vero che in quel mercato devi combattere con una concorrenza altrettanto attraente. Un piatto di pasta fatto a mano. Una paella dall’aspetto seducente. Dei gyoza fumanti. Nei mercati, quelli seri, trovi di tutto. Come può una semplice pizza competere?

Ma la pizza napoletana non è anonima. Non la puoi ignorare. Quella pizza la vedi, perché viene ostentata in tutte le fasi della sua produzione. Come si può non restare ammaliati da quel movimento armonico di mani che fanno volare il panetto dalla cassa al bancone, per cominciare prima a manipolarlo dolcemente, e poi a schiaffeggiarlo con veemenza? Come non si può essere rapiti da quegli ampi gesti delle braccia, quando il pizzaiolo fa roteare il mestolo per versare la salsa, o quando allunga le braccia per reperire i diversi ingredienti dai contenitori? E come non si può osservare con ammirazione la rapidità con cui si stende quel disco di pasta sottile ma pregno di roba, e lo si appoggia sulla pala, per poi essere portata immediatamente verso la bocca del forno, e da lì estratta con un rapido gesto?

Soprattutto, come non si può non essere estasiati sapendo che occorre poco più di un minuto per assistere alla cottura del piatto, che ci verrà porto fumante di fronte ai nostri occhi. La pizza napoletana è marketing a sé stante: non ha bisogno di farsi particolare pubblicità perché il suo apparire è l’essenza stessa del processo di vendita. Un processo che assume la sua forma compiuta in quel disco maculato, dall’alveolatura intrigante e i colori accesi.

Ma il pizzaiolo imprenditore sa che alle volte anche un ottimo prodotto non basta ad attirare l’attenzione della gente. E qui si rimette in gioco tutta la napoletanità del caso, che ostenta l’orgoglio della propria identità artigiana. C’è chi si rifà ad aspetti folkloristici, intonando a gran voce canzoni della propria terra per accompagnare il suo lavoro. C’è chi passa il suo tempo libero a studiare pizza acrobatica, e si diverte a far roteare dischi di pasta nell’aria per deliziare gli spettatori con volteggi articolati tra spalle, braccia e gambe.

Street food by Wandercrust

C’è poi la scuola dell’imprenditoria classica napoletana. Ho visto pizzaioli offrire intere pizze nei mercati per farsi pubblicità. Altri hanno adottato persino la formula antica dell’”a oggi otto”, per avviare la propria attività: mangiala ora, se ti piace ritorni a pagarla fra una settimana (e te ne compri anche un’altra).

Ma un punto solido su cui si regge la promozione pubblicitaria è il forno stesso da cui vengono estratte le pizze. O, per essere più precisi, quello che ci è attorno. Street food vuol dire spesso nomadismo: i pizzaioli girano da una piazza all’altra per vendere il proprio prodotto. E lo fanno chiaramente su ruote. Spesso tre: l’Ape Piaggio è il mezzo di locomozione favorito da chi fa cibo di strada italiano all’estero. Simbolo stesso del nostro paese, con la pizza acquista quel quid in più: la riconversione con forno a legna incorporato e banco da lavoro estraibile, che sicuramente il passante non può fare a meno di notare.

Ci sono intere aziende che hanno basato il loro modello di business sulla produzione ed esportazione di questi mezzi atipici. Ma si va oltre. Perché c’è chi alle tre ruote ne predilige quattro, e van e furgoni vari si prestano bene per poter lavorare al coperto e ripararsi dalle intemperie nei paesi del nord. Spesso sono le decorazioni scelte gli attrattori principali (una foto di una bella pizza a tutto campo, o l’azzurro chiaro per rimandare contemporaneamente ai colori del Napoli e della nazionale italiana). Altri invece optano per un approccio ecologista, e abbandonano del tutto il motore per una sana pedalata: si vedono infatti persino piccoli forni per pizze montati su biciclette riconvertite ad hoc.

Peddling Pizza e il suo Street Food

Napoli On The Road e Street Food

Ma che non si faccia l’errore di pensare che tutta questa realtà descritta sia un monopolio esclusivamente italiano o napoletano (a seconda del tipo di pizza). Perché nuove generazioni di artigiani della pizza stanno crescendo all’estero. Grazie alla consulenza di pizzaioli che lavorano da anni direttamente sul posto, l’arte viene tramandata a chi niente a che fare con famiglie di pizzaioli da quindici generazioni, ma ha due cose in comune con loro: la volontà di rendere felici le persone con un buon prodotto, e l’obiettivo di ottenere un guadagno concreto.

Un fenomeno che, come abbiamo già visto in passato, sta caratterizzando principalmente il Regno Unito, dove si è assistito a un vero e proprio passaggio di consegne di un’arte secolare dalle mani italiane a quelle di inglesi e altre nazionalità presenti sul posto. In primis con un approccio prettamente auto-didattico: il fascino esercitato dal prodotto ha portato i nuovi pizzaioli a industriarsi imparando tramite video online o addirittura volando fino a Napoli per corsi specifici. Si è poi passati alle fasi di masterclass tenute direttamente da esperti sul posto, che hanno accelerato la formazione e conseguentemente il procrearsi di tanti piccoli business sparsi sul territorio.

A livello UK stiamo assistendo a una diffusione a macchia di leopardo di queste realtà, che continua a espandersi incessantemente. Più lentamente, però, possiamo osservare lo stesso fenomeno anche in altri paesi come la Francia, la Germania, la Polonia, dove la cultura dello street food è forse meno sviluppata, ma dove la pizza napoletana sta prendendo sempre più spazio nei cuori (e nei business) degli stranieri. Il crollo delle frontiere dettato dall’Unione Europea passa anche da qua: forse l’espressione “la pizza unisce” è un po’ troppo abusata, ma mai come ora ha assunto un significato così pieno.

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