Pizza napoletana fatta in casa: il metodo, gli strumenti, la ricetta
Vediamo assieme come realizzare un'ottima pizza napoletana in casa con un metodo scientifico
Rubrica di Alessandro Trezzi — 5 anni fa
Fare la pizza napoletana in casa, oggi, è assolutamente possibile.
Simbolo del Made in Italy e vera ossessione nazionale, questa specifica tipologia è storia e orgoglio dei pizzaioli napoletani, la cui arte è stata inserita ufficialmente il 7 Dicembre 2017 nella lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità.
Le sue origini si perdono nella notte dei tempi.
La sua prima comparsa può esser fatta risalire a un periodo storico che si colloca tra il 1715 ed il 1725: Vincenzo Corrado, cuoco del principe Emanuele di Francavilla, in un trattato sui cibi più comunemente presenti a Napoli dichiarò che il pomodoro veniva impiegato per condire la pizza e i maccheroni.
In quello stesso secolo, comparvero le prime vere pizzerie.
La descrizione reperibile nel disciplinare dell’Associazione Verace Pizza Napoletana può essere riassunta come segue: la pizza napoletana è un prodotto da forno lievitato, steso a disco sottile e cotto a temperature che vanno, tra quelle della platea e della volta per quanto riguarda il forno a legna, dai 380 ai 485 °C, per un tempo che oscilla tra i 60 e i 90 secondi. Il risultato è una pasta molto elastica nella stesura, morbida una volta cotta, al punto da essere ripiegata su sé stessa a portafoglio o libretto. L’effetto croccante è assente o appena percettibile, il bordo rialzato (il
famoso cornicione), la parte centrale sottile e coperta dai condimenti, con la maculatura tipica di una cottura rapida e aggressiva.
GLI STRUMENTI
Appare quindi evidente quello che per anni è stato il primo grosso limite nel replicare in casa questa tipologia di pizza: la temperatura.
Una pizza realizzata allo stesso modo dall’impasto alle fasi di riposo, dalla stesura alla farcitura ma cotta a 250 °C potrà anche essere la più buona del mondo, ma non potrà essere definibile come napoletana.
Non è razzismo gastronomico, si tratta solo di fissare i concetti; perché si possa piegare a libretto e perché il condimento conservi una precisa fascia aromatica la cottura deve necessariamente essere violenta.
Con tempi più lunghi e temperature più permissive l’amido cristallizza completamente rendendo la pizza croccante.
Oggi però, dicevamo, farla in casa non solo è possibile, ma è sempre più praticabile.
Negli ultimi anni infatti la diffusione di strumenti adatti al contesto domestico ha subito un’impennata colossale; si trovano modelli a legna, a gas ed elettrici in grado di coprire un range di temperature che possono arrivare anche a 550 °C, sdoganando di per sé tutta una serie di preparazioni prima ritenute proibitive. Anche per la casa, al netto di chi ha un forno a legna o gas in giardino o terrazzo, ci sono diversi strumenti per ottenere temperature alte.
La napoletana quindi, se fatta con criterio, non ha definitivamente più segreti.
Ma bando alle ciance, dopo avervi condiviso alcuni consigli su impastamento e cottura, provenienti dall’esperienza personale del collega Rosario Salatiello, vediamo insieme come si prepara la pizza napoletana con un metodo scientifico, strumenti e ricetta rigorosi.
IL METODO
La farina
La pizza napoletana nasce come un prodotto realizzato con basse idratazioni, farine medio-deboli (220-240 W), pochissimo lievito e un quantitativo importante di sale utile per stabilizzare lievitazioni corte condotte prettamente a temperatura ambiente; un tempo infatti non esistevano certo celle frigorifere o camere a temperatura controllata, e le uniche farine disponibili erano gli allora grani italiani, poverissimi di glutine.
Oggi le cose sono decisamente cambiate; abbiamo a disposizione farine di qualsiasi tipologia, adatte a qualsivoglia scopo, coltivate e macinate nel nostro paese.
Ma soprattutto sia i laboratori delle pizzerie che le nostre case comuni sono dotate di frigoriferi e nella maggior parte dei casi di macchine per impastare; perché non sfruttare il progresso tecnologico quando ci torna utile per stabilizzare le variabili?
Perché dovremmo per forza lasciarci convincere dai professionisti che parlano di “punto di pasta” o “l’impasto a occhio”, quando pesando tutto e lavorando per consapevolezza azzeriamo il rischio di commettere errori inutili?
Per adattarci ai tempi e alla concezione di un prodotto “moderno”, il metodo e la ricetta proposti si riferiscono invece all’uso del frigorifero o di una cella, alzando sia il W che l’idratazione, mantenendo costante il lievito e riducendo il sale.
Cosa significa concepire un prodotto “moderno”?
Una pizza leggera, tecnica ma semplice, calibrata, standardizzabile e digeribile.
Significa mangiare non solo per riempirsi la pancia, ma per fare una vera e propria esperienza sensoriale, enormemente gratificante.
La tipologia principalmente utilizzata per la produzione di napoletana è la 00 di grano tenero.
Avevamo già parlato, nell’articolo sulla teglia romana, delle differenze tra 00, 0, 1, 2 e integrale e gli accenni sulla forza e sull’indice W, quindi vi rimando lì per un breve ripasso.
Il motivo dietro a tale scelta è presto detto: l’impasto per napoletana deve essere fortemente estensibile, deve poter essere tirato a mano fino ad ottenere una sezione di pochi millimetri senza rompersi, e svilupparsi in concomitanza del cornicione; al contempo deve anche risultare scioglievole al morso e mai tenace in bocca, quindi l’utilizzo di farine troppo forti o di idratazioni molto elevate è altamente sconsigliato, perché potrebbero rivelarsi difficoltose sia nella stesura sia nella cottura.
Crusca e fibre presenti nelle farine integrali e semi-integrali, nonostante il profilo nutrizionale e i sapori più marcati, trattengono l’umidità e ostacolano in parte la formazione del glutine.
Realizzare una napoletana con farine “alternative” non è impossibile nè tantomeno vietato, chiariamoci, ma potrebbe risultare più complesso specie in presenza di una materia prima non particolarmente performante.
L’impasto
A seconda della farina utilizzata, una napoletana classica può essere realizzata con un’idratazione compresa tra il 58 e il 65%.
Vi sono interpretazioni moderne che alzano parecchio la soglia d’acqua, ma non ne parleremo oggi, e di certo non ve le consiglieremo per imparare, visto che presentano una gestione del tutto differente che richiede molta esperienza.
La fase di impastamento di una napoletana è quindi ben più semplice rispetto ad esempio a una teglia romana, ed è possibile ottenere un ottimo risultato anche a mano.
Ciò che fa davvero la differenza è l’equilibrio delle diverse fasi di maturazione e lievitazione, che devono essere bilanciate in relazione alle caratteristiche del prodotto finito; un panetto perfetto e pronto alla stesura dovrà essere facilmente estensibile senza arrivare a rottura, ma soprattutto dovrà avere una distribuzione di gas equilibrata, per poterli spingere verso il bordo con estrema semplicità.
Niente bolloni per intenderci.
Per questo motivo solitamente l’appretto (o seconda lievitazione) è più lungo e viene effettuato a temperature che non superino i 20-22 °C, in modo da far lavorare i lieviti lentamente e in maniera meno violenta.
In sintesi, l’importante è che le fasi di riposo (puntata e appretto) vengano svolte con tempi e temperare corrette, per le quali potreste dover condurre qualche sessione di test nei vostri ambienti di lavoro prima di trovare la quadra.
Inizialmente la puntata non veniva nemmeno considerata nel processo per napoletana; il grano italiano infatti era tenace, e l’appretto prolungato si rendeva fondamentale per poter garantire la stesura.
Oggi non è più così, ne abbiamo già parlato.
Introdurre una fase di lievitazione in massa è quindi preferibile in quanto è proprio durante questo tempo che l’impasto sviluppa una struttura, crescendo in altezza e aumentando il suo volume.
Tradizionalmente, la pizza napoletana viene realizzata mediante l’uso di lievito di birra (Saccharomyces Cerevisiae).
Come già abbiamo detto nel caso della romana, qui più che mai è sconsigliato l’uso del lievito madre, che non vi è di alcuna utilità per questo tipo di prodotto.
Conferisce struttura, ma avete una sezione di 2 millimetri scarsi.
Allunga la shelf-life, ma ve la pappate in 2 secondi netti.
Conferisce sapore, ma avete un cornicione vuoto e una sezione di 2 millimetri, sovrastata da ingredienti.
Perché complicarsi quindi la vita, quando misurando il lievito di birra ottenete un prodotto sicuro, certificato e ultra leggero?
Last but not least, il sale è necessario non solo per dare sapidità ma per migliorare sensibilmente le caratteristiche della maglia glutinica, oltre a stabilizzare la lievitazione durante i tempi lunghi di appretto richiesti; per questo motivo il quantitativo è leggermente superiore a quello di una teglia romana.
LA RICETTA
Apprese le nozioni fondamentali, vediamo insieme i passaggi per realizzare una pizza napoletana morbida, scioglievole e profumata.
Resto come sempre dell’idea che il miglior modo di valorizzare questo prodotto sia di proporlo con un classico intramontabile, la Margherita.
Del resto la farcitura di questa pizza è sinonimo di equilibrio: l’acidità del pomodoro, il gusto pieno e cremoso della mozzarella e la freschezza balsamica del basilico, il tutto arrotondato dall’olio extravergine di oliva.
Vi è venuta fame vero?
Allora sotto con gli ingredienti.
Per l’impasto (dosi per 7 pizze da 235 gr):
– 1 kg di farina di grano tenero di tipo 00 (300 W);
– 650 gr di acqua (65% sul peso della farina);
– 28 gr di sale fino (2.8% sul peso della farina);
– 2 gr di lievito di birra fresco (0.2% sul peso della farina).
Per la farcitura:
Pomodoro San Marzano DOP dell’Agro Sarnese-Nocerino;
Fiordilatte di Agerola;
Basilico fresco;
Parmigiano Reggiano DOP 24 mesi;
Olio extravergine di oliva.
Se non avete accesso a tutti questi ingredienti di pregio, in alternativa va bene del pomodoro pelato fresco e un fiordilatte generico, ma non lesinate sulla qualità per entrambi.
Impastamento
Si scioglie il lievito in un bicchiere dell’acqua della ricetta, e si aggiunge l’acqua nella farina man mano, solo quando la precedente è perfettamente assorbita.
Dopo aver aggiunto circa i 2/3 dell’acqua si aggiunge il sale, per poi continuare fino ad aver esaurito l’acqua prevista. Terminato l’impastamento, si trasferisce sul piano e lo si chiude di pagnotta, ripiegandolo su sé stesso 3 o 4 volte ogni 10-15 minuti.
Il risultato deve essere una forma liscia, uniforme, asciutta e ad una temperatura di almeno 24 °C.
Si ripone in un recipiente unto di olio a temperatura ambiente (20-24 °C) per circa 4 ore.
Nota bene: l’impastamento può essere eseguito sia a mano che per mezzo di una planetaria o di un’impastatrice professionale; l’ordine e le modalità di inserimento degli ingredienti non cambiano.
Puntata
Trascorse le 4 ore, si ripiega nuovamente l’impasto e lo si ripone con il contenitore in frigorifero a 4-6 °C per 24 ore. In questa fase l’impasto matura, cresce verso l’alto e la maglia glutinica si stabilizza.
Staglio
Trascorsa la puntata, si riprende l’impasto e lo si porziona nei pesi desiderati; si posizionano le pagnotte in recipienti unti o in una cassetta di lievitazione.
Come specificato nelle dosi, con tale impasto si possono ottenere 7 panetti di 235 gr di peso.
Appretto
Durante lo staglio l’impasto viene manipolato, i lieviti ridistribuiti e la maglia glutinica rinforzata. Lo scopo dell’appretto è quello di rendere possibile l’ultima lievitazione e maturazione, oltre a permettere l’estensibilità necessaria alla stesura. L’impasto viene quindi riposto a temperatura ambiente (20-22 °C) per 6-8 ore, o in frigorifero per altre 24 ore.
Stesura
Nel caso della pizza napoletana, rendere un soffice e morbido panetto sottile come un foglio di carta non è semplicissimo e richiede parecchia pratica. La prerogativa però è che l’impasto arrivi al punto giusto, ben lievitato ma soprattutto estensibile e asciutto, in modo che non si attacchi mentre lo si allarga.
Il panetto viene immerso in un cumulo di semola rimacinata di grano duro ben setacciata (riduce l’attrito e in cottura tosta donando sapore) e schiacciato con le dita dal centro verso il bordo per spostare l’aria, lasciando circa 1-1.5 cm in modo da
formare il cosiddetto “cornicione”.
È possibile proseguire in questo modo, capovolgendo il panetto fino ad aver quasi ottenuto la dimensione finale, per circa i 3/4 del totale; questo perché con l’umidità degli ingredienti aggiunti in fase di farcitura si allargherà ulteriormente, facilitando il lavoro.
Il piano di lavoro va spolverato con giusto un velo di semola, quel tanto che basta per non farla attaccare mentre il disco viene condito.
Farcitura
Adagiate 3 cucchiai o un mestolo di pomodoro pelato schiacciato a mano al centro del disco e con un movimento circolare distribuitelo su tutta la pizza, lasciando circa 1.5/2 cm di cornicione.
Completate con del basilico fresco, il fiordilatte e un giro d’olio, portate la pizza sulla pala trascinandola con decisione.
Ci siete, il vostro capolavoro è pronto per l’ultima ed importante fase.
Cottura
Nel caso abbiate un forno elettrico performante, impostate la temperatura a 480 °C con il 100% di potenza dal cielo e il 5-10% di potenza dalla platea; con un forno a legna o a gas, attendete che il termometro arrivi a 450-480 °C.
In entrambi i contesti verificate con un termometro laser che la platea sia almeno intorno ai 420-430 °C.
In caso contrario la pizza sarà cotta sopra ma non sotto; ricordatevi che la difficoltà maggiore nella gestione di una napoletana sta nel mantenere un equilibrio tra le due componenti di cottura, conduzione (tramite il piano refrattario) e irraggiamento (tramite la camera, la fiamma o le resistenze).
Con un movimento deciso infornate la pizza e controllatela a vista.
In un forno a legna o a gas, considerando che la sorgente di calore diretto è puntuale e localizzata sul fianco, dovrete girarla spesso per ottenere una cottura uniforme, ma attendete circa 30 secondi, altrimenti rischiate di bucare la base con il palino.
Nel forno elettrico al contrario, spesso le resistenze sono disegnate in modo tale da evitare tale processo, o perlomeno di limitarlo a una girata di 180 gradi; con temperature così alte e tempi di cottura così brevi infatti, anche solo il risparmio di quei pochi secondi di perdita di calore possono fare la differenza.
Tenete sempre conto che difficilmente avrete in casa forni enormi in refrattario, capaci di mantenere le temperature stabili per ore.
Gli strumenti pensati per il contesto domestico sono il più delle volte in acciaio e soprattutto hanno una camera piccola; la distribuzione del calore potrebbe non essere sempre ottimale.
Controllate costantemente la base della pizza, e se risulta troppo avanti rispetto alla parte superiore mantenete alzata la pizza con il palino fino a cottura ultimata.
Quando il prodotto ha raggiunto una colorazione uniforme, dopo circa 90 secondi, sfornatelo, e terminate la farcitura con un ultimo giro di olio EVO e una spolverata di Parmigiano Reggiano DOP 24 mesi.
[Crediti: Giovanni Tesauro, Fabrizio Casucci]