Come ogni anno eccoci a parlare su queste pagine di 50TopPizza, la classifica delle migliori pizzerie italiane e del mondo firmata da Barbara Guerra, Albert Sapere e Luciano Pignataro.
Trovate vincitori, premi speciali e tutto quello che c’è da sapere a questo indirizzo; la classifica italiana ha visto la conferma al primo posto della pizzeria di Francesco Martucci, ovvero i Masanielli.
Nello storytelling della manifestazione la vincitrice italiana viene definita anche come “la migliore del mondo”, con uno slancio di superiorità che non ha fondamenta solide per com’è fatta la struttura della classifica, ovvero ispettori anonimi sparsi per il globo che compilano schede e sono supervisionati da responsabili di zona, i quali giocoforza hanno gusti differenti e soprattutto sono impossibilitati a provare tutto nello stesso periodo.
Ma tant’è, continua a perdurare il vetusto concetto che in Italia si faccia a priori la pizza più buona del mondo, l’unica degna di essere definita tale, in barba al fatto che negli Stati Uniti se ne consuma ad esempio di più pro-capite e che, in generale, di ottime pizzerie napoletane e italiane ne è pieno il mondo; dunque sarebbe quantomeno opportuno limitarsi a ciascuna nazione, definendo magari la premiazione italiana come quella più importante, per ragioni ‘storiche’ e di paternità della classifica stessa. Ah, sia chiaro che in ottica di promozione e rassegna stampa, fa molto più comodo raccontarla nella forma attuale.
Detto questo, a piccoli passi la guida sta aggiustando il tiro, cercando di seguire al meglio i sette principi che la definiscono fin dalla prima edizione (li leggete a questo indirizzo), ma che in più di un’occasione hanno lasciato dei dubbi sulla loro applicazione in relazione alla presenza di pizzerie magari prive di servizio al tavolo, carta dei vini o altri fattori ritenuti fondamentali. La creazione di categorie e premi speciali come quello delle catene artigianali, il forno verde (discussione ripresa anche dai nostri cugini di Dissapore) oppure delle “pizze in viaggio” sono servite proprio a questo, accontentare e coinvolgere il più alto numero di pizzerie “che contano” come qualità, posizionamento sul mercato e mediatico.
Detto questo, più volte ho espresso il mio disaccordo circa la scelta dell’anonimato invece che della firma e della presa di responsabilità quando si dà un consiglio su dove e cosa mangiare, così come sulle classifiche in luogo di selezioni paritetiche per premiare la qualità di chi lavora bene o di chi merita un’attenzione anche in chiave di visibilità.
Sia ben chiaro, in un contesto mediatico sano ci stanno benissimo, sono un gioco che permette di passare il tempo, diventano obiettivi per i quali “battersi” e attribuire il merito anche a tutta la propria filiera. In un contesto sano, appunto, che purtroppo nel mondo Pizza spesso sembra essere fuori portata: non avete idea di quante scaramucce, fazioni e altri bisticci si scatenino nel sottobosco pizzificato, dove non ci si fa problemi a ostentare il proprio successo oppure viceversa rosicare perché “quell’altro non è più bravo di me, ha le amicizie, usa i prodotti x” o altro ancora.
Per fortuna tali dinamiche hanno spesso una presa pari a zero verso i clienti, un po’ come le stesse scaramucce che quotidianamente avvengono sui social, dal calcio alla politica, con la scelta di molti che è quella di impiegare (buttare) il proprio tempo libero su cose assolutamente inutili.
E infatti non perderò tempo sul giudicare chi sale, chi scende, chi vince e chi è scomparso: i gusti sono gusti e ovviamente al pari di quando si fanno previsioni su chi vincerà lo scudetto, l’andamento anche mediatico di quest’anno faceva prevedere, ad unico esempio, un’uscita di Franco Pepe dal podio, forse la cosa più sorprendente di questa edizione.
Più interessante analizzarne la struttura di una classifica dal grande riscontro giornalistico per una svariata serie di motivi anche di partnership, ancora con un basso appeal verso quello che per me dovrebbe rappresentare il cuore principale, il cliente, poiché un po’ troppo arrovellata sul voler essere argomento di discussione e competizione per le pizzerie.
Quest’anno devo dire che un po’ di lavoro è stato fatto in tal senso, supportato da uno spropositato e improvviso aumento di follower su Instagram – come da grafico – in poche settimane. Un aumento, per adesso, a cui non è seguìto un simile potenziamento di engagement dei post, ma indubbiamente spinto dalla volontà di essere più presenti su canali seguiti dalle persone comuni, e un primo timido tentativo di scrollarsi di dosso la patina da “ce la cantiamo e ce la suoniamo”.
Appuntamento al prossimo anno, col solito appello alle pizzerie che ogni giorno portano a casa la pagnotta, grandi o piccole che siano: quello che conta è esclusivamente il cliente e il prodotto che si cerca di realizzare al di là dell’importanza dei singoli ingredienti, cliente che dev’essere sempre trattato al meglio, dalla prima all’ultima pizza. Il resto è un piacevole contorno, può amplificare il messaggio e muovere ulteriori maestranze, ma se deve diventare motivo di supponenza o di “depressione”, è meglio concentrarsi su altro, ancora di più dopo questi due anni che dovrebbero averci insegnato un bel po’ di cose forse, ahimè, già dimenticate.