Chicago si dichiara “Capitale della Pizza nel mondo”. È davvero necessaro indignarsi?
Un tweet dell'amministazione ha scatenato le ire degli appassionati di pizza in Italia e negli States. Cosa ci insegna questa vicenda sui campanilismi?
Rubrica di Giuseppe A. D'Angelo — 4 anni fa
Il 9 febbraio di ogni anno si festeggia negli Stati Uniti il National Pizza Day. Si tratta di una giornata ufficialmente riconosciuta, ed essendo gli americani di fatto le figure di riferimento di tutto il mondo anglofono, anche in altri paesi dove si parla inglese viene celebrata come fosse una sorta di festività mondiale. Solo che di mondiale, quest’anno, c’è stata una bella shitstorm nei confronti di una delle città americane più famose per la sua pizza: Chicago.
“Orgogliosi di essere la capitale della pizza nel mondo”. Poche parole, pubblicate in un Tweet, che hanno scatenato un putiferio. Dapprima da parte degli americani stessi. Perché, sapete, anche da quelle parti ci sono dispute ridicole su chi faccia la pizza migliore. E anche in America, come in Italia, esistono dozzine di stili di pizza differenti. Se da noi i pesi massimi che se le danno di santa ragione sono Roma e Napoli, negli States abbiamo New York e Chicago.
I primi a essere insorti e ad affollare l’account twitter dell’amministrazione di Chicago, infatti, sono stati proprio i newyorchesi. Fino a quando quel tweet non è passato per le mani di un napoletano d’eccellenza. Salvatore Esposito, alias Genny Savastano in Gomorra. Che, con molta signorilità, si è limitato a dire “dopo Napoli, carissimi amici americani”.
After NAPOLI my US friends !!!
— Salvatore Esposito (@SalvioEspo) February 10, 2021
Peccato che la stessa pacatezza non l’abbia avuta la maggior parte dei napoletani e degli italiani, afferrando i forconi e unendosi al coro di oche starnazzanti. Ma come osa, una città americana, sostenere di essere la capitale mondiale della pizza? Soprattutto quando è famosa per essere la patria di quell’aberrazione che è la Deep Dish, quella sorta di torta ripiena di pomodoro e formaggio, che con la pizza non ha niente a che vedere?
Ma qui scatta l’inghippo. Perché i chicagoans stessi sono stufi di vedersi associati con quella pizza. Che loro, sostengono, propinano soli ai turisti. Perché la cosiddetta pizza Chicago-style in realtà abbraccia diversi modelli totalmente differenti tra loro. E tra questi, il più affermato tra i locali, è la cosiddetta tavern-style: tonda, sottile, più rigida, e servita già tagliata in tanti quadretti.
La storia, in realtà, ha un ulteriore risvolto. Perché col suo tweet, Chicago stava in realtà rispondendo a un altro tweet: quello dello stato del New Jersey, che dichiarava esattamente la stessa cosa. E non era nemmeno la prima volta, perché la stessa boutade l’avevano fatta l’anno scorso, generando un dibattito identico a quello di oggi. Evidentemente quelli di Chicago hanno pensato bene di cavalcare il trend: i bisticci, si sa, fanno audience.
A me tutta questa storia ha fatto sorridere. Perché mette in luce diversi aspetti. Il primo, è che i campanilismi che vedono sempre protagonisti noi italiani sono in realtà tipici di tanti paesi: soprattutto sul cibo non si scherza, il mio giardino è sempre più bello del tuo.
Ma vediamola anche da un altro punto di vista: l’Italia è il paese della pizza, e Napoli ne è la capitale. Secondo noi questo è un dato assoluto, oggettivo, dal quale non si scappa. Ma allora com’è che, quando si effettuano diversi studi di marketing, non risultiamo mai tra i primi consumatori al mondo? Siamo secondi anche ai francesi, la cui popolazione è solo un po’ più grande di quella italiana.
Qualcuno ha obiettato: “Sì, ma gli americani parlano con superbia della loro pizza come se l’avessero inventata loro, anzi, molti ne sono proprio convinti. E invece l’hanno solo importata”. E con questo? Non è la stessa cosa che facciamo noi con il caffè?
I fatti parlano chiaro. Gli americani producono e consumano più pizza di quanto facciamo noi. Lo fanno a livello mondiale. E hanno una venerazione per quel piatto che noi, popolo della pizza, non esprimiamo in maniera così passionale. Tutte le più famose citazioni sulla pizza vengono da artisti americani, mentre da noi non facciamo altro che ripetere costantemente due frasi di Luciano De Crescenzo e Pino Daniele. Ci sono interi business che si reggono sul merchandise di magliette, cravatte, cuscini, persino pupazzi a forma di pizza. E qual è il simbolo universalmente riconosciuto per la pizza? Non una fetta di Margherita, ma lo spicchio con i famigerati pepperoni.
Sento già quelli che dicono “sì, ma noi mangiamo roba di qualità, con prodotti italiani eccellenti, la nostra pizza è obiettivamente più buona“. E chi lo dice? Passi il discorso sulla nostra produzione agricola, condivisibile, ma i gusti non possono essere per definizione obiettivi. Mettetevelo bene in testa. Chi è cresciuto in quella cultura può imparare ad amare altri stili di pizza, ma difficilmente rinnegherà il piatto che lo ha sfamato per anni. D’altronde da noi ce n’è voluto prima che anche il resto d’Italia cominciasse ad apprezzare la pizza napoletana, che noi napoletani reputiamo la migliore del mondo. Mentre per alcuni, a seconda della provenienza e risultato finale, può risultare troppo panosa, pesante, spessa o umida.
E, come ho scritto più sopra, questi paraocchi non li indossiamo solo noi italiani. Hai voglia per i newyorchesi di dire che la loro pizza è la non plus ultra. Le classifiche di TripAdvisor non sempre la pongono al primo post per le migliori pizzerie. E i clienti non mentono (per lo meno, non sempre).
I clienti. Alla fine è a loro che bisogna guardare. Perché ricordiamoci, che alla fine della fiera, una pizzeria è un business. E l’obiettivo di ogni business è quello di fare soldi, che non vuol dire svendere il proprio prodotto. Dietro alla propria attività ci può essere una strategia di marketing che sposi tranquillamente la propria mission e i propri valori. Ma una buona strategia non la fai chiudendoti a riccio, bensì mostrando apertura alle nuove tendenze, con l’orecchio attento e lo sguardo sul mondo.
Vorrei citare un passaggio di un’intervista fatta a Tony Gemignani qualche settimana fa, sull’argomento. Per chi non lo conoscesse, Gemignani è un imprenditore del mondo pizza americano con all’attivo una trentina di concept di pizzerie, pubblicazioni e apparizioni televisive.
“Dodici anni fa quando cominciai ad attrezzare le mie pizzerie con forni differenti per fare diversi stili di pizza, quelli nel settore non ne capivano il motivo. ‘Io faccio solo la napoletana’ oppure ‘Solo la newyorchese’, dicevano ‘questa è la mia pizza e non ne vedo altre’. Oggi è diverso. Hanno finalmente capito che il cliente è più sveglio, e vuole diverse opzioni. Per cui quelli che facevano la NY style ora abbracciano la Chicago style, quelli che facevano la romana ora amano anche la napoletana, ecc. Molti adesso utilizzano più forni, nelle loro pizzerie. Deve essere per forza così, se vuoi andare avanti in questo business devi evolverti e avere una mentalità aperta“.
Per come la vedo io, il messaggio non vuole essere “cercate di fare felici tutti”. Il messaggio è “non siate restii ai cambiamenti”. Siate curiosi, siate affamati, anche se si tratta di focalizzarvi su un singolo prodotto, cercate di migliorarlo ed evolvervi sempre. Non pensate mai di star facendo la pizza migliore al mondo, perché è molto più vasto delle quattro mura in cui state operando. Discutete, informatevi, viaggiate e mettetevi di fronte a varie opzioni. Solo così potrete operare una scelta che sia vostra, invece di adeguarvi senza ragionamento a quello che è sempre stato fatto prima di voi.
Questo vale per i ristoratori come per i clienti. Nel business, come nella vita.
Ok, chiusura troppo filosofica? Allora la riformulo: fate e mangiatevi la pizza che vi piace. E non rompete le scatole agli altri.