La tradizione è bella, per una svariata serie di motivi. Ti permette di affrontare il futuro con maggiore consapevolezza e cultura, di capire cosa è stato per scegliere meglio cosa sarà e rappresenta una ‘scusa’ per rivivere certe usanze ogni qualvolta possibile.
Come ad esempio per la pizza fritta alla vigilia di Natale e San Silvestro, un’usanza tutta napoletana che permette di affrontare senza morsi di fame la cena, per definizione meno calorica perché vi è assenza di carne rossa in luogo di pesce e verdure. Ovviamente tale leggerezza rappresenta un’iperbole, perché poco importa se ci sono antipasti, primi, dolci, noccioline e chi ne ha più ne metta: ogni scusa è buona per farsi un giro tra il centro storico e le zone collinari, fermandosi per gustare uno dei cibi di strada per eccellenza.
In provincia, a causa della minore disponibilità di tale contesto e della maggiore facilità di preparazione nel forno di casa, risulta più diffusa la pizza di scarole, che vede radici egualmente storiche in quella con le bietole e che, in realtà, non viene disdegnata nemmeno dalle famiglie napoletane: abbondandis abbondandum (vediamo chi indovina la citazione).
Ma perché le cene della vigilia sono definite leggere? Soprattutto per Natale, e di riflesso a Capodanno, torniamo nuovamente alla tradizione e alla sua mistificazione, legata come sempre alla religione. Ogni portata ha un significato pagano, poi cristianizzato e quindi inserito in un ruolo specifico, quasi di devozione: in questo contesto la carne rossa è assente nella veglia per la nascita di Gesù.
Genesi della Pizza fritta
E la pizza fritta? La sua antenata è rappresentata dalle zeppole di pasta fritta ricoperte di miele già a partire dal diciassettesimo secolo, per poi arrivare alla versione salata come quella descritta ad esempio dal duca Ippolito Cavalcanti nel 1837, con la presenza di alici e baccalà.
Facciamo un salto fino alla seconda guerra mondiale, perché in seguito ai bombardamenti su Napoli e la conseguente povertà, non era facilissimo trovare forni a legna operativi e in generale non c’era grande disponibilità economica. Per i napoletani l’alternativa divenne quella di friggere l’impasto (di grammatura inferiore) nell’olio bollente, dando luogo a una pizza rigonfia che appagava innanzitutto la vista, utilizzando farciture “povere”. Contestualmente veniva venduta nei bassi direttamente su strada e, col passare del tempo, divenne espressione soprattutto femminile, con le donne che ne curavano tutto il processo fino alla vendita.
La rappresentazione più raggiante di questo binomio, seppur cinematografica, ce l’ha dato Sophia Loren che, nel film “L’oro di Napoli” del 1954, la prepara urlando “Mangi oggi e paghi tra otto giorni”, ovvero parafrasando la pratica tutta partenopea de “a ogge a otto”, quella di comprarla a credito e pagarla la settimana successiva (a proposito, leggete delle prime testimonianze storiche scritte sulla pizza tonda, datate 1800, e dei primi documentari video ancora disponibili oggi sulla pizza.).
La Pizza fritta oggi
A Napoli è possibile mangiare pizza fritta praticamente ovunque, anche nelle pizzerie più rinomate per la pizza “classica” o che offrono servizio da ristorante. In questo pezzo però vorrei continuare a soffermarmi soprattutto sul filo conduttore storico da parte di chi propone la pizza fritta come unica scelta, per celebrare al meglio questa grande tradizione.
Nei Quartieri Spagnoli, ad esempio, c’è stata fino a poco tempo fa la compianta Signora Fernanda, un’istituzione e perfetta rappresentazione della pizza venduta nel vascio (basso su strada). La intervistammo un paio di anni fa: “Faccio le pizze fritte nel vascio dal 1975. Siamo qui da cent’anni: c’era mia madre prima di me. Tutte donne qui, solo donne, prima di me. Io ora faccio tutto da sola, ma è sempre stato così: dai panetti, agli ingredienti, alla gestione della cassa…tutto da sola, sempre da sola”.
A poca distanza c’è Pizza fritta da Gennaro, in cui si alternano moglie e marito al comando di pizze fritte estremamente generose e gustose, come quelle che abbiamo provato in prima persona. Non mancano ovviamente declinazioni più moderne, frutto di una tecnica che si è evoluta anche in chiave estetica e salutistica al di là dell’utilizzo della carta anti unto, come ad esempio nella Sanità dove c’è Isabella de Cham e il suo progetto di pizza fritta. E ancora con la nuova generazione della Masardona in zona Mercato, Zia Esterina by Sorbillo ai Tribunali, fino a un’altra istituzione ben conosciuta dagli autoctoni di Forcella, ovvero l’Antica Pizzeria De’ Figliole. E ancora, altre realtà ben conosciute come 1947 Pizza Fritta di Vincenzo Durante, tra quelli che oggi incarnano una sorta di passaggio temporale tra lavorazione tradizionale e quella moderna.
Piccola nota aggiuntiva, non dimenticatevi che le pizze fritte possono essere anche montanare in grado di valorizzare tanti ingredienti, a partire dall’imbattibile semplicità del ragù napoletano e del caciocavallo o parmigiano.
La Pizza fritta nella dieta
Se parlate di pizza fritta davanti a un dietologo, potrebbe rispondervi imbracciando una mazza di ferro, ma sotto sotto ‘rosicherebbe’ perché ne vorrebbe mangiare una anche lui. Detto questo, c’è un piccolo punto a favore: solitamente i panetti per realizzare “la piccola” non superano i 180-190 grammi, in luogo dei 250-300 della pizza cotta nel forno. Questo si traduce in un apporto calorico ‘contenuto’ in relazione all’argomento pizza, ben al di sotto delle 1000 calorie. Ovviamente i condimenti classici sono lontani da qualsiasi consiglio salutistico, ma che ne dite di un ripieno scarole e alici, con un po’ di mozzarella? Le proteine ci sono, i carboidrati pure, i grassi sono un po’ troppi ma amen: come al solito, è importante separare lo sgarro dal quotidiano anche mentalmente, ma nemmeno privarsi al 100% dei peccati di gola. Ve ne ho parlato anche in un articolo specifico, denominato Abbasso la Diet Culture, la pizza può essere mangiata sempre.
La Pizza fritta abbinata a vino e birra
Una volta che si decide per lo sgarro, il godimento deve essere massimo e può essere amplificato ulteriormente abbinando la pizza fritta con una bevanda alcolica. Abbiamo a che fare con la frittura, formaggi, in generale grassi di origine animale e non, quindi serve acidità per equilibrare la tipica tendenza dolce di questi cibi. Ovviamente ogni condimento fa storia a sé: in linea generale si può andare sulle bollicine, a partire da un abbinamento territoriale come quello con l’Asprinio d’Aversa, per arrivare a un Prosecco, un Trento Doc e anche lo Champagne per le grandi occasioni, stando attenti al tipo di dosaggio. Ma anche i rossi “mossi” possono dare parecchie soddisfazioni, scegliendo il Gragnano oppure un Lambrusco, e ancora bianchi come l’Etna bianco, magari per i fritti vegetali.
E proprio dalla Sicilia c’è una grande connessione con Napoli e la pizza fritta, perché abbinamento storico e consolidato è quello col Marsala, da sempre presente nelle case napoletane. Il residuo zuccherino e l’alcolicità, infatti, sono in grado di bilanciare la parte grassa della pizza fritta, senza prevaricarla.
Per la birra stesso discorso, serve una spiccata acidità con poca dolcezza e amarezza per riequilibrare la bocca a ogni morso e renderlo ancora più godurioso. La stile belga Gueze o la tedesca Gose, mentre in generale una birra cruda segue le caratteristiche di cui sopra.
Insomma, la pizza fritta è storia, tradizione, bontà e convivialità, è accessibile per tutti e rimane estremamente attuale. Ricordatevi che se non la mangiate almeno una volta ogni tanto, vi aspetta l’inferno dei Gourmand!
Articolo pubblicato inizialmente il 22 dicembre 2022, aggiornato con nuovi indirizzi e consigli il 23 dicembre 2024