La “vera pizza napoletana” come la intendiamo oggi compare in uno scritto di Francesco De Bourcard di fine 800, quando Napoli era ancora la capitale del Regno delle Due Sicilie.
Abbiamo dedicato un articolo intero alle prime testimonianze storiche della pizza sotto forma di libri, e ne abbiamo recuperati anche un paio che vi faranno scendere più di una lacrimuccia se siete appassionati dell’argomento.
Con la pizza poi, divenuta simbolo del popolo napoletano, si beveva chiaramente il vino, perché quella era la bevanda più diffusa (se non l’unica) ai tempi sulle tavole italiane.
Poiché le pizzerie, però, non avevano la licenza per la vendita di alcolici, nei loro pressi iniziarono a diffondersi piccole cantine, le enoteche dell’epoca, che dal loro locale portavano alla tavola del cliente il “mezzo litro di vino della casa”.
Fu solo negli anni ‘50 che venne messa a disposizione dei commercianti una licenza speciale per vendere bevande alcoliche a bassa gradazione (al di sotto degli 8 gradi), cosa che favorì la diffusione delle birre nelle pizzerie, anche perché meno costosa rispetto al corrispettivo mezzo litro di vino.
L’abbinamento pizza e birra diventò quindi quello più diffuso a discapito dello storico pizza-vino (e comunque può regalare parecchie soddisfazioni, leggete Pizza e Birra: cosa c’è da sapere sulle varietà brassicole e l’abbinamento), perché in questo modo davvero tutti, anche i meno abbienti, potevano mangiare fuori casa e bere un bicchiere (per conoscere invece i dati oiderni, potete consultare il seguente articolo: Consumo di alcol in Italia, le differenze tra regioni, età e titolo di studio).
I principi dell’abbinamento
Ma in questo articolo vogliamo parlarvi della bevanda di Bacco: la pizza si abbina al vino esattamente come qualsiasi altro piatto e risponde dunque alle stesse regole generali, cioè valgono i criteri di contrasto (o contrapposizione) e analogia (o concordanza) che devono portare al bilanciamento tra le sensazioni del cibo e quelle del vino. Contrasto perché alcune sensazioni del vino e del cibo bilanciano gli squilibri dell’altro, analogia perché in alcuni casi le sensazioni mantengono lo stesso rapporto, la stessa tipicità. Abbinare cibo e vino significa sostanzialmente cercare un equilibrio proprio dal punto di vista fisico, della struttura. Se un vino è troppo ampio, intenso e persistente, abbinarlo ad un cibo “povero” di sensazioni lo sovrasterà completamente. Per contro, se il vino è troppo debole e leggero non aggiungerà nulla dal punto di vista gusto-olfattivo.
Dobbiamo quindi cercare tutti i fattori utili per costruire un’armonia. Per capire meglio, dobbiamo partire però da ciò che accade in bocca quando si mangia e da cosa si percepisce sulla lingua grazie alle papille gustative.
Si definisce gusto l’insieme di sensazioni che si avvertono in bocca le quali sono legate sia al sapore che a stimoli di tipo olfattivo, tattile o termico.
Le sensazioni gustative dovute al sapore vero e proprio sono quattro, dolce, salato, acido e amaro, che vengono percepite in punti diversi della lingua: il dolce si percepisce sulla punta, l’amaro in fondo mentre l’acido e il salato si percepiscono lateralmente. A queste va aggiunto oggi il quinto gusto, l’umami, che rappresenta il “saporito”, un gusto sapido non ancora perfettamente codificato a livello di abbinamento ma che possiamo riconoscere quando mangiamo prodotti ricchi di glutammato, un amminoacido presente in cibi altamente proteici come il Parmigiano Reggiano, il prosciutto crudo e la carne, ma anche in numerose verdure.
In bocca si possono avvertire salivazione, astringenza o pungenza, ed è quindi possibile percepire dei sapori contrastanti. Anche i tempi e la durata sono differenti, il dolce ad esempio si percepisce entro un secondo mentre l’amaro dopo circa tre secondi, ma rimane presente più a lungo.
Alcuni composti si combinano con la saliva bloccando la lubrificazione dell’intera cavità orale, la sensazione che ne deriva viene chiamata “astringenza” ed è dovuta ai tannini, presenti principalmente nei vini rossi. La lingua è inoltre in grado di percepire la forma di una sostanza, se ci sono delle particelle solide o se il cibo è più o meno denso, liquido o cremoso.
Tutte queste sensazioni si combinano fra loro e si influenzano a vicenda. Ogni piatto possiede delle caratteristiche predominanti che, una volta individuate, consentono di scegliere ed abbinare il vino giusto. Tali caratteristiche sono, ad esempio, grassezza, tendenza dolce (che non va confusa con la dolcezza dovuta alla presenza di zuccheri, ma si ritrova in prodotti come pane, formaggi, patate), succulenza (data dalla presenza di liquidi sia all’interno della preparazione, come ad esempio i brasati, sia dalla salivazione che viene prodotta durante la masticazioni di certi cibi come il pane o i formaggi), untuosità, sapidità, e molte altre.
L’AIS (Associazione Italiana Sommelier) ad esempio ha messo a punto una scheda tecnica descrittiva in cui sono riportate tutte le caratteristiche del vino e del piatto, valutate anche quantitativamente con dei valori numerici che naturalmente dovranno compensarsi per creare l’equilibrio gustativo. Questa scheda è soltanto uno strumento che ci deve aiutare nella scelta dell’abbinamento, ma dobbiamo comunque fidarci a priori del nostro gusto e di quello che succede nella nostra bocca.
Prendendo in esame i caratteri del vino quali acidità, effervescenza e sapidità troviamo in loro corrispondenza per il cibo (“dall’altro lato del bilanciamento”) le sensazioni di grassezza e tendenza dolce. In effetti l’acidità è uno sgrassante mentre la sapidità va a contrastare la tendenza dolce perché un vino con una buona sapidità rende l’abbinamento più piacevole, se un piatto è insipido.
Alcol e tannino sono soprattutto caratteri disidratanti, cioè tolgono liquido dal cavo orale e quindi si contrappongono alla succulenza del cibo ma anche all’untuosità che per quanto viscosa è pur sempre liquida. In particolare l’alcol gioca un ruolo importante per la succulenza così come il tannino per l’untuosità. A questo si aggiungono due fattori importanti, ovvero l’intensità olfattiva e la PAI, ovvero la persistenza aromatica intensa, che è l’insieme delle sensazioni che restano dopo la deglutizione e che sfumano più o meno lentamente. La PAI, per intenderci, va considerata nel momento in cui dobbiamo scegliere un vino per poter bilanciare sapori particolarmente forti e duraturi, come ad esempio quello della cipolla.
E così via.
La pizza, e più in generale tutta la cucina moderna, si è alleggerita in termini di lievitazione, maturazione, ingredienti, preparazione e cottura; nasce quindi l’esigenza di avere vini “facili da bere”, scattanti e non troppo alcolici, che non appesantiscano cioè il piatto in questione anche in virtù di una eventuale degustazione in cui si cambia più volte tipologia di vino e si passa con una certa nonchalance da una bollicina a un rosato, a un bianco e poi a un rosso a seconda della pizza che arriva al tavolo.
In linea del tutto generale, la pizza è un alimento a spiccatissima tendenza dolce, dovuta all’impasto e ai formaggi quasi sempre presenti, più o meno strutturata (partiamo da pizze “semplici” come margherita e marinara fino ad arrivare a ingredienti e preparazioni più complesse e tecniche di cottura differenti) dove si può trovare l’acidità del pomodoro, l’aromaticità dei capperi, l’amarognolo delle olive nere, il sapido di un salume e così via.
Secondo i principi discussi prima, quindi, per le preparazioni fritte (sia pizze che antipasti) è più che adatta una bollicina, sia spumante che frizzante, perché “sgrassa” e compensa l’elevata tendenza dolce. Lo Champagne, pure, ci sta benissimo.
Per le pizze in cui è presente del pomodoro, è preferibile scegliere un rosato, un vino rosso frizzante, come il Gragnano o il Lambrusco, oppure ancora un vino rosso fermo poco strutturato, come possono essere il Piedirosso dei Campi Flegrei, il Rossese di Dolceacqua o un Pinot Noir. Con le pizze bianche sono invece perfetti i vini bianchi acidi e freschi, come Falanghina, Verdicchio o Chardonnay, che servono anche a contrastare la grassezza dei formaggi.
Dopo essere andati nel dettaglio con i consigli generali, che vi permetteranno di sperimentare con le tipologie di vino da Sud a Nord, abbiamo chiesto al Sommelier del nostro partner di lievitamente, Moodique, di segnalarci qualche proposta specifica dalla quale cominciare:
• Con la succulenza indotta dalla crosta di pizza o calzone fritti suggeriamo un bianco sostenuto dall’aromaticità fresca e giovane, come il Pecorino “Giochiamo con i fiori” di Torre dei Beati, classificato come Abruzzo DOC. Può essere acquistato a questo indirizzo.
• Accompagnerei invece il sapore ricco di una pizza a base rossa con un vino equilibrato di media struttura come il rosato di Ciliegiolo della cantina San Benedetto di San Gimignano. Può essere acquistato a questo indirizzo.
• Infine con la maggior morbidezza di una pizza bianca serve qualcosa di mosso: suggeriamo di provare l’effervescenza di un Franciacorta Brut come quello de La Ferghettina. Disponibile a questo indirizzo.
La verità ad ogni modo è una sola: il gusto personale vince sempre. Ognuno è libero di mangiare e bere ciò che preferisce, senza dover necessariamente seguire linee guida didattiche o conoscere tecniche di abbinamento particolari e scegliendo in base al cuore (o meglio ancora, alla pancia) e al contesto in cui si trova.
Buona pizza!
Questo articolo prevede inserimenti pubblicitari per segnalare alcune offerte del nostro partner Moodique. Per scoprire come trattiamo il test dei prodotti, il giudizio delle pizzerie e qual è la linea editoriale di Garage Pizza, è possibile consultare il nostro Manifesto completo.