Unregular Pizza: a New York, il pizzaiolo Gabriele baratta le sue pizze invece di venderle

"La migliore pizza di New York, ma non la puoi comprare". Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Gabriele La Monaca, che ci ha raccontato il suo progetto.

Rubrica di Giuseppe A. D'Angelo — 3 anni fa

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Gabriele Lamonaca è un ragazzo romano di 30 anni che vive a New York, e si diletta con la pizza in casa come molti. Ma nell’ultimo mese è comparso su numerose tv e testate statunitensi e italiane per un’idea che sta avendo molto successo in tempi di pandemia: baratta la sua pizza con altri newyorchesi in cambio di altro cibo fatto in casa da loro, o altri prodotti artigianali. Unregular Pizza è il nome del suo profilo Instagram, dove mostra le foto delle sue pizze e racconta gli scambi con le storie. E sarà anche il nome della pizzeria che spera di aprire al termine della pandemia.

Abbiamo fatto una chiacchierata con Gabriele che ci ha raccontato i suoi inizi, come ha avuto questo successo e come svilupperà il suo progetto in futuro.

Come sei arrivato a New York, e come hai iniziato a fare la pizza?
Sono arrivato a New York nel 2008 per laurearmi in chimica. Durante questo periodo ho lavorato sempre nella ristorazione: prima per un distributore di cibo italiano, poi come aiuto cameriere in un ristorante, fino a diventare manager. Qualche anno fa mi sono reso conto che qui a New York c’era un gap nel mondo della pizza: o mangiavi una pizza davvero economica, ma di scarsa qualità come la dollar slice; oppure andavi in ristorante per mangiare un buon prodotto ma spendere tra pizza, drink e mancia anche tra i 40-50 dollari. Io volevo un’opzione che si collocasse a metà, e da romano ho pensato subito alla pizza al taglio, che unisse economicità e qualità. Avevo cominciato a lavorare a questo progetto facendo un business plan, raccogliendo finanziamenti e visitando locali da affittare. Ma poi con la pandemia tutto si è fermato.

L’unica cosa che potevo fare era cominciare a fare le pizze in casa, un po’ come hanno fatto tutti in questo periodo. Ho aperto un profilo Instagram, e ho cominciato a ricevere richieste di delivery, perché chiaramente le pizzerie erano chiuse. All’inizio ho pensato che ci poteva essere una buona opportunità di business, ma mi sono reso conto che non era così conveniente: io usavo comunque ingredienti costosi acquistati da specialty stores, e non potevo giustificare un prezzo che fosse abbordabile. Inoltre molte richieste mi venivano da amici, e non mi sembrava il caso di far pagare loro la pizza.

Ma ci tenevo comunque che l’assaggiassero e mi dessero un feedback, e allora mi è venuta un’idea: non faccio pagare la pizza, ma chiedo in cambio qualcosa cucinato da loro. Così non prendo soldi, ma allo stesso tempo non la sto dando via gratis.

È bello vedere che in un periodo in cui tutti restiamo connessi online, tu sei ritornato un poco all’economia reale, addirittura a una forma antica come il baratto, per ritrovare il contatto con le persone. C’è stata una scelta precisa dietro questa idea?
Prima vivevo con la mia ragazza in un monolocale a Midtown, che è nel cuore di Manhattan. Adesso quella zona si è completamente svuotata, e questo ci stava causando molta depressione. Ora ci siamo trasferiti a Harlem, e questa idea del baratto mi serviva anche per ritrovare un po’ i contatti con le persone reali, al di là di una chiacchierata su Skype o Zoom.

Con la tua idea hai avuto un’attenzione mediatica enorme, e sei stato intervistato da importanti testate americane e ospite a diversi Morning Show, e anche in Italia. Pensi che la tua idea avrebbe ricevuto tutta questa attenzione se non ti fossi trovato in un paese con un bacino di comunicazione così ampio come gli States, ma se fossi stato, per esempio, a Parigi?
Credo di sì, però sicuramente New York ha contribuito molto con il suo fascino: un’idea strana come la mia viene spesso associata a una città come questa, dove c’è anche molta multietnicità e la gente è affamata di culture e cose nuove. Se consideri che qui puoi passare da un quartiere come Chinatown a una via costellata di boutique di stilisti francesi semplicemente attraversando una strada, ti rendi conto di come qui la gente sia portata a sperimentare nuove tradizioni, cibi e culture.

Abbiamo visto come la tua idea venga sempre pubblicizzata dagli show televisivi e dalle testate con una frase: “È la migliore pizza di New York, ma non la puoi comprare”. Il tuo successo è davvero frutto del caso, o c’è anche un pizzico di strategia di marketing dietro?
Quando tutto questo è cominciato un anno fa, io e la mia ragazza non ci saremmo aspettati questo successo, quindi sì, è iniziato un po’ tutto per caso. Lei comunque lavora nel settore della comunicazione per il food, ed è stata lei a consigliarmi di aprire un canale Instagram prima possibile, di modo che io potessi crearmi una base di followers ancora prima di aprire la mia pizzeria. Da questo punto di vista è anche stata una strategia di marketing, che però si traduce in un discorso essenziale: far provare il mio prodotto prima che venga messo in vendita, e ricevere feedback, anche negativi, che mi aiutino a migliorarlo e capire i gusti dei miei futuri clienti. Allo stesso tempo, con lo scambio in prima persona del prodotto, sto conoscendo tante persone e creando relazioni, e potrei anche conoscere potenziali investitori interessati al progetto.

Come pensi si svilupperà il progetto della tua pizzeria? Sarà ancora in qualche modo legata alla formula del baratto?
Chiaramente la mia pizzeria sarà un’attività commerciale, ma vorrei comunque che rimanesse un legame con le origini: magari una volta al giorno effettuerò questa cosa del baratto con dei clienti, in forma di evento, dove chi vuole potrà portare qualcosa di suo da condividere con il team del ristorante, che non sia necessariamente solo cibo.

Per quanto riguarda la pizzeria, a me piacerebbe aprire una catena che si diffonda in tutti gli Stati Uniti: molti europei investono qui a New York, ma l’America è grande e ci sono tanti luoghi che non sono ancora raggiunti da noi italiani. Ma dappertutto c’è fame di cibo di qualità e di nuove scoperte. C’è bisogno di noi ristoratori e imprenditori: io personalmente voglio andare a coprire ogni angolo di America con Unregular Pizza.

Visto che sei in America da tanto tempo, tu ti senti più romano o newyorchese?
Da un punto di vista professionale mi sento molto più americano, visto che la mia vita lavorativa l’ho vissuta tutta qua. Ma fino a 18 anni ho vissuto a Roma, per cui mi sentirò sempre romano. Ed è per questo che voglio portare un prodotto tipico della mia città in tutta l’America.

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