Finalmente i primi risultati con la Pizza senza lievito

Dai polimeri alla tavola, la pizza per chi è intollerante al lievito

Rubrica di Francesco Margheriti — 10 mesi fa

L'arte della lievitazione

Quanto sarebbe bello mangiare quello che si vuole ed alzarsi da tavola pieni ma leggeri?
Oppure passare una serata in compagnia mangiando una bella pizza e bevendo una birra ghiacciata o un bicchiere di ottimo vino e svegliarsi la mattina dopo con la pancia piatta?

La realtà per molti, ma non per tutti.

Per pochi questo rimane quasi un desiderio irrealizzabile, un sogno. Esiste un gruppo eterogeneo di individui che queste situazioni sopra descritte non le vivono da un po’. Sono quelle persone che sono intolleranti (meglio dire ipersensibili) al lievito.
Il lievito lo si trova in svariate forme all’interno di tantissimi prodotti, soprattutto tra i panificati, quelli da forno e da pasticceria, oltre che in tanti altri alimenti che hanno subito un processo di fermentazione.

Il lievito è un fungo unicellulare che viene usato in determinati prodotti della nostra alimentazione per far fermentare il glucosio presente nelle farine, portando alla formazione di anidride carbonica che sarà poi la protagonista delle alveolature della pizza, ad esempio.
Nella nostra flora batterica sono già presenti varie famiglie di lieviti (candida albicans, saccharomyces, aspergillus, penicillium) e ogni flora batterica è diversa da un soggetto all’altro, quasi come se stessimo parlando di impronte digitali.

Dopo la pizza, la pancia si gonfia

Dopo la pizza, la pancia si gonfia

Chi sostiene di essere sensibile ai prodotti lievitati spesso presenta una sintomatologia molto varia, caratterizzata da mal di testa frequenti, cambiamenti di umore, gonfiore addominale, aerofagia, stipsi o evacuazioni frequenti, problemi alla pelle.
La caratteristica preparazione di panificati, prodotti da forno e da pasticceria porta con sé l’utilizzo del lievito e quindi espone i soggetti sensibili, che si trovano in una situazione di eccessivo consumo, ad una maggiore propensione a sviluppare, nel lungo periodo, una sensibilità verso questo elemento.

Di test in giro per valutare la presenza o meno di questa problematica ce ne sono a bizzeffe, ma nessuno, anche il prelievo ematico, da certezza (1), anche perché è molto probabile che la problematica sia di tipo multifattoriale.
Di conseguenza, questa ampia incertezza nel capire cosa è che scatena questi fastidi e anche la difficoltà di diagnosi, porta la persona ad avere paura nell’avvicinarsi a determinati cibi una volta che ha avuto alcune delle esperienze sopra descritte.

Lo sviluppo e la tecnologia alimentare hanno portato alla comparsa nel mercato di prodotti più o meno adatti per chi deve allontanarsi dal lievito, usando farine alternative o agenti lievitanti diversi rispetto al classico lievito di birra o lievito madre.

Per la pizza c’è sempre stato il problema dell’alveolatura, della lievitazione “da pizza”, facendola diventare un miraggio per queste persone.

Era, perché ad oggi sappiamo che da Napoli (e da dove se no?), precisamente dall’Università Federico II, un gruppo di ricercatori, scienziati e ingegneri appartenenti ai laboratori di schiumatura dei polimeri (FaomLAB)  e allo studio e misurazione delle proprietà reologiche dei materiali (RHEOlab), nelle persone di Nino Grizzuti, Rossana Pasquino, Ernesto Di Maio, Pietro Renato Avallone e Paolo Iaccarino (tra l’altro, pizzaiolo), ha trovato il modo di aiutare chi il lievito non lo sopporta proprio (2).

Queste menti hanno partorito una tecnica che permette di preparare la pizza in poco tempo, unendo lievitazione e cottura in un unico momento, ma senza lievito, di nessun tipo.

Il tutto è partito da un po’ di pasta da pizza grande quanto una pallina da golf, senza però usare il lievito in nessuna delle sue forme.
Il processo di produzione di bolle con il lievito viene sostituito da un processo fisico che prevede l’immissione di diversi gas (elio, ossigeno o anidride carbonica) nell’impasto pressurizzato tramite un’autoclave riscaldata, una sorta di forno a pressione. L’impasto comincia il processo di cottura con un tempo sufficiente a permettere la dissoluzione del gas.

Le bolle si formano perché si gioca con la pressione, che viene modulata di volta in volta.

Uno dei co-redattori dello studio, la Dott.ssa Rossana Pasquino, ci spiega che un aiuto fondamentale alla realizzazione del progetto è stato dato da Paolo Iaccarino, il quale, lavorando part time in una pizzeria sulla Costiera Amalfitana, ha usato strumenti di misurazione da laboratorio nella stessa pizzeria dove lavora, per determinare con precisione temperatura e cambiamenti di pressione all’interno di un vero e proprio forno a legna.

Classica alveolatura

Classica alveolatura

Il segreto di tutto il processo sta nell’essere iper precisi nel regolare la temperatura e la pressione più adatta a raggiungere il picco di schiumatura della pasta, nel momento di massima stabilizzazione dell’impasto.
Se l’impasto si solidifica a la pressione viene abbassata troppo dopo, la pizza si rompe, mentre, se si anticipa troppo, la pasta collassa su se stessa. Questione di frazioni di secondo.

Risultato? Una pizza tonda, ma molto piccola. Due pollici di diametro, ma dalla consistenza e dal sapore molto simili ad una pizza classica, il tutto senza aggiunta di agenti chimici.

L’articolo è stato pubblicato su Physics of Fluids, Nature e Scientific American, destando grande interesse in ambito accademico perché il tutto partito dallo studio sulla deformazione dei polimeri e della loro schiumatura.

Il gruppo napoletano sta perfezionando il metodo per creare pizze secondo gusti specifici, per esempio rendendo l’impasto più o meno gommoso.
La tecnica potrebbe inoltre consentire la produzione di una pizza senza glutine, visto che offre un maggiore controllo sulle condizioni di cottura e quindi la possibilità di ottenere la consistenza distintiva della pizza utilizzando altri ingredienti, un prodotto veramente adatto a tutti.

Per questo motivo i ricercatori stanno acquistando un’autoclave più grande per uso alimentare con l’obiettivo di produrre pizze a grandezza naturale negli esperimenti futuri.
Sperano anche di coinvolgere soggetti diversi, soprattutto professionisti del settore, le persone che lavorano quotidianamente con gli impasti e di riuscire a vedere la loro idea utilizzata nelle pizzerie.

Perché la pizza può e deve essere per tutti.

  1. Pasteur yeasts system, a test-kit for yeasts identification. Its evaluation in comparison with three commercial methods and conventional procedures; L. Riviera; Bollettino dell’istituto sieroterapico milanese; 1988
  2. Rheology-driven design of pizza gas foaming; Pietro Renato Avallone et al., Physics of Fluids, 2022
Dedicato interamente al mondo della Pizza fatta in Casa: guide, ricette, consigli, le vostre creazioni!
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