Il (non)delivery in provincia: un popolo di golosi insoddisfabili

Il cibo consegnato a casa è una delle gioie in questi tempi di lockdown e pandemia, ma esistono grossi limiti in provincia per clienti e imprenditori.

Rubrica di Francesco Pagano — 4 anni fa

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Siamo affamati, tanto affamati. Abbiamo sperato, sognato e ora, nella maggior parte delle regioni, riabbracciato il delivery come uno dei veicoli per soddisfare la nostra passione per la pizza e il cibo. In questi tempi bui e difficili di Coronavirus e lockdown l’Italia ha scoperto ancor di più l’utilità ma anche le difficoltà del cibo a domicilio, una realtà ormai affermata, un veicolo contemporaneo di distribuzione di prelibatezze.

Ma per ogni consegna fatta in un viale, c’è un palato rimasto a secco in una contrada. Perché il delivery funziona soprattutto in città. Quando ci si allontana dai grandi centri abitati il delivery diventa un’utopia destinata a realizzarsi in pochi fortunati casi e con pochissima scelta. In provincia il cibo a casa lo portano pochissimi. Parliamo ovviamente di cibo consegnato, non di asporto diretto del cliente che avrà comunque un piccolo spazio qui.

Il cliente delle grandi città è facilmente raggiungibile e ha una vasta scelta di locali che offrono il servizio di cibo in consegna. Fuori dalla zona sicura delle metropoli si sviluppa un’economia di piccole realtà e piccole comunità di fruitori che non possono beneficiare dei vantaggi del delivery. Si tratta di un mercato frastagliato in piccoli nuclei e difficile da raggiungere dai raider. Sono pochi gli utenti se si considerano i singoli abitati, ma diventano numeri importanti se sommati nella loro totalità sul tutto il territorio nazionale o anche solo regionale.

Per gli operatori del settore uno degli scogli più grandi del delivery in provincia è rappresentato dalla preservazione delle caratteristiche organolettiche del prodotto. Perché dopo 40 minuti di viaggio per consegne anche la migliore pizza del mondo potrebbe non arrivare alla bocca perfetta. C’è chi ha elaborato un impasto e una cottura specifici per i prodotti da consegnare a casa, o comunque da asporto. Si tratta però di casi sparuti perché avere linee produttive separate da utilizzare per aumentare il tempo in cui il prodotto è fragrante può risultare antieconomico. Perché l’impegno verso questa cura per il delivery deve corrispondere ad un flusso di ordini alto che i numeri del pubblico di provincia non possono offrire. In questi tempi strani qualcuno si sta provando ad arrangiare con le proprie forze per offrire la consegna del cibo, ma il raggio d’azione è più limitato delle piattaforme dedicate.

Facendo una rapida ricerca su una delle più famose piattaforme di delivery, i dati sono evidenti. Tralasciando le città metropolitane, come Napoli, Roma e Milano nelle quali il raggio d’azione del delivery è ampio e l’offerta variegata, in provincia il servizio si assottiglia e sparpaglia fino a sparire del tutto nelle zone più estreme. Se si fa uno spaccato poi della situazione al meridione si nota come il delivery si tramuti spesso in un miraggio. E in tempi come questo tutto va a inficiare sul bilancio dei locali e imprenditori che hanno scelto di investire in provincia.

Per comprendere il problema riporto la situazione molto triste che vivo quotidianamente. Dove vivo io, in provincia di Benevento in Campania (Regione della pizza per antonomasia) i le pizzerie che fanno delivery si contano sulla punta delle dita e nei paesi (anche quelli un po’ più grandi) quasi sparisce, nonostante il numero di pizzerie e altri locali sia aumentato notevolmente in questi ultimi anni. Si tratta di una città piccola (60.000 abitanti) e di una provincia altrettanto piccola (200.000 abitanti) e fatta di piccoli paesi sparpagliati, fattori che lo rendono forse un caso limite forse, ma di certo non l’unico.

Ovviamente non c’è da incolpare nessuno, ma da fare in conti con tutta una serie di concause dirette e indirette che non permettono al delivery di sbocciare in provincia. Lo sparpagliamento dei nuclei abitativi e le lunghe distanze da coprire sono il problema principale, ma non l’unico. Quello che va messo in luce è che nella provincia e nel sud soprattutto la cucina, il piacere di mettersi ai fornelli è ancora fortemente radicato rispetto alla vita frenetica della grande città. L’abitudine di preparare i cibi a casa allontana le consegne dai desideri degli utenti. Non che sia un male assoluto, anzi, in molti casi è un bene, ma è sicuramente un ostacolo al delivery. Indirettamente si devono tenere in conto anche tutta una serie di fattori socio-politici che non sarò qui a snocciolare e che si possono riassumere con l’assunto che c’è sempre qualcuno a casa a cucinare, vuoi per la vicinanza di genitori o parenti, vuoi per la mancanza di posti di lavoro che tengano impegnati tutti i componenti di una famiglia.

Video ricetta pizza napoletana fatta in casa

Un po’ per tutti questi motivi le app di delivery stanno prendendo piede in provincia in maniera molto lenta. Mancano clienti e locali interessati a dare questo servizio e quindi anche tutto l’indotto di contorno è fermo ai blocchi di partenza (o forse non è mai uscito dal garage). Ad oggi pare quindi difficile avere una soluzione immediata per coprire con il delivery tutto il territorio nazionale. Toccherà forse aspettare che i raiders smettano di girare in motorino e inizino a far volare più droni. Una prospettiva che potrebbe richiedere un bel po’ di anni.

Alla provincia quindi cosa resta? Non rimane che aspettare e intanto consolarsi con l’asporto, che di conseguenza è molto sfruttato e offre larghi benefici all’indotto di settore. Non a caso le stringenti norme in Campania riguardanti l’asporto hanno trovato numerosi dissensi e proteste fino a rendere necessaria una apertura e modifica dell’ordinanza da parte del governatore De Luca. Ovviamente, tra mascherine, guanti, file ordinate e disinfezioni varie, la pizza da mangiare a casa diventerà, così come per altre cose, una routine più complessa e lunga quasi come una immersione di un sub. Tuttavia è un sacrificio misero che può essere fatto in attesa di poter tornare a sedersi l’uno accanto all’altro ad un tavolo della pizzeria.

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