Il possibile clamoroso autogoal legato alla Pizza Napoletana STG

il passaggio alla riserva con nome potrebbe infliggere un duro colpo alla sua diffusione

Rubrica di Pokerman — 1 anno fa

La Margherita doppia mozzarella (Da Michele Yokohama)

“Pizza napoletana solo col bollino Stg: ma il made in Italy non viene tutelato”;
“’Italia vince la battaglia con l’UE per la pizza napoletana”;
“La pizza napoletana diventa specialità tradizionale garantita”.

Questi sono solo alcuni dei titoli che in questi giorni si possono leggere cercando “pizza napoletana STG” nella sezione notizie di Google. Titoli che fanno inorridire chiunque sia minimamente informato sull’argomento.
Perché la Pizza Napoletana è già Specialità Tradizionale Garantita da una dozzina d’anni; perché non c’è stata alcuna battaglia con l’UE; perché è ovvio che non venga tutelato il made in Italy dato che la certificazione STG non serve a questo scopo.

Andiamo però per passi ed iniziamo col riportare la notizia fornendo un minimo di contesto:

Questi sono i fatti. Adesso è più chiaro cosa sia successo? Non troppo? Non temete, è più che comprensibile. Proviamo allora a spiegare in modo ancora più cristallino.
Quando si è iniziata a diffondere la notizia, ho letto e sentito tante opinioni di operatori ed appassionati del settore e di giornalisti. Purtroppo tante di queste persone non si erano adeguatamente informate e, nel loro giudizio, non consideravano il quadro nella sua interezza.
Per poter esprimere un parere sull’STG della pizza napoletana, è necessario fare un passo indietro e capire cosa sia effettivamente una Specialità Tradizionale Garantita.

Margherita 2 (Antico Borgo Ai Vergini Rione Sanità Napoli)

Antico Borgo ai Vergini

DOP, IGP e STG sono un complesso di tre certificazioni europee chiamate Indicazioni Geografiche che possono essere attribuite a prodotti alimentari con determinate caratteristiche. Come suggerisce il nome, il minimo comun denominatore è il legame con il territorio. Ciò che le distingue è l’intensità di questo legame.
Nelle Denominazioni di Origine Protetta (DOP) tutte le caratteristiche – dalla materia prima alle fasi di lavorazione – devono essere connesse con il territorio. Nelle Indicazioni Geografiche Protette (IGP) il legame con l’area geografica è meno stringente e basta che le qualità caratterizzanti il prodotto dipendano dal territorio; la materia prima può dunque essere importata. Le Specialità Tradizionali Garantite (STG) riguardano invece una ricetta o un ingrediente che sia tradizionale o specifico di un territorio. Le STG sono la certificazione più debole delle tre e la connessione con l’area geografica è puramente concettuale: un prodotto STG deve poter essere replicabile ovunque per definizione.
Tutti o quasi conoscono DOP e IGP, molti meno conoscono le STG. In effetti degli oltre 850 prodotti certificati italiani, solo quattro sono STG: Mozzarella, Amatriciana, Pizza Napoletana e il Vincisgrassi. I motivi di un così basso numero di STG sono diversi, ma si possono riassumere con la poca attrattività della certificazione STG a confronto con quella delle “sorelle maggiori” IGP e DOP.

In generale, la procedura di registrazione o di modifica (non minore), sebbene sia lunga, è piuttosto lineare. Una volta approvati internamente, il governo nazionale invia all’UE il materiale e la richiesta di registrazione o di modifica avanzata dal gruppo interessato. Trascorso il tempo necessario per verificare la bontà della domanda e dar tempo alle altre nazioni di opporsi, la notizia viene ufficializzata tramite pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Concentriamoci però sulle STG. Non starò a tediarvi con i dettagli legislativi – se foste interessati potete andare a leggere il Regolamento UE 1151/2012 – ed evidenzierò giusto un paio di aspetti rilevanti per noi:

1) Ogni azione, sia questa la prima registrazione o una qualsiasi modifica, deve partire da un gruppo di produttori interessati, nel nostro caso l’AVPN.
2) Prima del 2012, il gruppo richiedente poteva scegliere tra la registrazione con riserva del nome e senza riserva. Dal 2012 è invece possibile ottenere la certificazione solo con riserva del nome.
Ecco che torna fuori il discorso del nome con o senza riserva. Di cosa si tratta esattamente? Proviamo a spiegarlo usando proprio la Pizza Napoletana come esempio. Essendo stata registrata senza riserva, fino ad ora era stato possibile usare il termine “Pizza Napoletana” per qualsiasi pizza a patto che non si facesse riferimento all’STG. Solo nel caso si fosse parlato di “Pizza Napoletana STG” la preparazione avrebbe dovuto seguire il disciplinare dell’STG. La riserva del nome invece rende implicito il collegamento tra la Pizza Napoletana e l’STG: ora qualsiasi pizza definita “Pizza Napoletana” – a prescindere ci sia o meno un rimando all’STG – dovrà seguire il metodo produttivo approvato dall’UE.

A questo punto in molti potrebbero esultare: le pizzerie in Italia e in Europa che spacciano il proprio prodotto per pizza napoletana non potranno più farlo! Vero, verissimo. Il non trascurabile problema è che in questo modo potenzialmente nessuna pizzeria al mondo – nemmeno quelle dei quartieri storici di Napoli – potrà dire di fare “Pizza napoletana”.
Perché? Non basterebbe seguire il disciplinare? Certo, peccato che la ricetta del disciplinare STG registrato dall’AVPN (attenzione: non è il disciplinare dell’AVPN) sia quantomeno discutibile.

Marinara Starita (Pizzeria Starita a Materdei, Napoli)

Vediamo punto per punto gli aspetti più critici:

Queste sono solo le principali, macroscopiche, criticità. In realtà ci sono poi una serie di dettagli che possono passare in secondo piano, ma che potrebbero compromettere l’uso della certificazione nel caso in cui non si segua l’indicazione del disciplinare. Ad esempio: il sale marino nell’impasto (e se si usasse un sale non marino?); il dover coprire con un panno bagnato l’impasto durante la lievitazione in massa (e se si usasse un contenitore per alimenti?); il taglio della mozzarella a listarelle prima della cottura (e se si usassero delle fette di Bufala a crudo o se si tagliasse il formaggio a cubetti?).
Insomma, capite bene che probabilmente non esiste al mondo una pizzeria che segua questo disciplinare nella sua interezza. Disciplinare sì approvato dall’UE, ma scritto e inviato da pizzaioli.

Ma allora perché è stata richiesta la protezione del nome?
Il Regolamento 1151/2012 aveva di fatto escluso la registrazione senza riserva del nome, ma la Pizza Napoletana, così come altre STG ottenute prima del 2012, almeno inizialmente, non erano state coinvolte. A fronte delle pressioni di Bruxelles per uniformare tutte le certificazioni STG, l’AVPN – conscia di tutte le limitazioni del disciplinare stilato – si era fieramente opposta con, tra l’altro, un Comunicato stampa di fine 2010 il cui secondo paragrafo recita: “Il commento dell’AVPN a tale notizia è fermo e deciso: si deve continuare a proteggere la ‘pizza napoletana’ con la STG senza riserva di nome.”.
Aggiungo poi una mia speculazione. L’articolo 54 del sopradetto Regolamento dice che un prodotto STG che “non sia stato immesso in commercio per almeno sette anni” può essere cancellato dal registro. La Pizza Napoletana è stata registrata nel 2010 e, giusto 6 anni dopo – anni in cui, per quanto ne sappia, non c’è stata neanche una pizza venduta con il marchio STG – è stata presentata domanda di riserva del nome.
Che sia stato un adeguamento alla normativa o il timore di veder cancellare il riconoscimento, la sostanza però non cambia: ora si potrà chiamare Pizza Napoletana solo una pizza prodotta secondo il tanto discutibile disciplinare.

Margherita (50 Kalò Roma)

A questo punto ci si dovrebbe chiedere cosa succederà concretamente al mondo della Pizza Napoletana.

Un’interpretazione della normativa europea particolarmente ortodossa e, soprattutto, un sistema di controllo efficiente potrebbero persino inibire l’utilizzo del termine “Pizzeria Napoletana” a chiunque non faccia pizze secondo il disciplinare STG. Per quanto paradossale, in linea teorica questo potrebbe succedere: la ratio della legge europea si fonda sul non trarre in inganno il consumatore e, senza ombra di dubbio, la dizione “pizzeria napoletana” potrebbe far pensare che nel locale si mangi pizza napoletana.
Chiaramente questo scenario è fin eccessivo, ma anche senza arrivare a questi livelli ci si deve interrogare su cosa e come si potrà dire. Ad esempio: basterà avere “nel retro bottega” un panetto di impasto fatto seguendo le regole STG per poter dire di fare Pizza Napoletana o tutte le pizze a menù dovranno essere come da disciplinare?
Le domande sono tante e allo stesso tempo le risposte sono molte meno e molto meno certe. Non avendo la sfera di cristallo, posso solo dirvi cosa penso succederà. Tutto il mondo della pizza napoletana “a canotto”, soprattutto i personaggi (napoletani!) con molta visibilità mediatica, smetteranno di usare il termine “napoletana” e si limiteranno a dire “pizza contemporanea” o, addirittura, “pizza casertana”. In caso di controlli poco stringenti, le pizzerie tradizionali e quelle generiche in Italia ed all’estero continueranno a parlare di pizza napoletana andando in contro al rischio di denunce e multe salate. Se invece i controlli saranno serrati, le pizzerie storiche abbandoneranno il nome Pizza Napoletana, mentre quelle generiche aggireranno il problema facendo allusioni a Napoli o, soprattutto all’estero, all’Italia: una bandiera nazionale all’estero o un’immagine del Vesuvio in Italia sono sufficientemente evocativi per far intendere che lo stile della pizza proposta sia – a torto o a ragione – napoletano. Il termine Pizza Napoletana rischierebbe quindi di finire relegato a dimostrazioni ed eventi a tema.

Stando così le cose, siete ancora convinti che la riserva del nome sia una cosa positiva, oppure – come me – temete che il mondo della pizza napoletana ne uscirà ancora una volta sconfitto? Pensatela come volete, ma non mi si venga a dire che si tratta di una vittoria contro l’UE o di una misura per proteggere la pizza napoletana.

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