Le sessantamila pizze a domicilio di Napoli dicono tutto del nostro rapporto con pizzerie, pizze e pizzaioli

Sessantamila pizze non risolvono il problema del crollo verticale della ristorazione, ma sono un bel simbolo per la ripartenza

Rubrica di Nunzia Clemente — 4 anni fa

Napoli, record di pizze a domicilio

Sessantamila è un numero bello grande. Anche da scrivere a chiare lettere è lungo, mentre in cifre la faccenda si semplifica un po’: diventa 60.000, ma il valore è lo stesso.

Vi dirò, mi sono un po’ stupita quando Antonio Pace, presidente dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, ha “rivelato” che nella sola giornata di lunedì, 27 aprile 2020 – ben sessantamila pizze sono uscite delle riaperte pizzerie napoletane, laddove per “napoletane” c’è da intendersi solo quelle di Napoli città. Come ha sottolineato Massimo Di Porzio, poi, un numero davvero impressionante se si considera che su tutto il territorio cittadino appena il 30-40% delle pizzerie ha alzato la serranda, per un totale di circa 300 attività, viste le difficoltà burocratiche che in qualche caso davvero sembravano invalicabili. Una ripartenza forte, dopo lo stop imposto in Campania dal governatore Vincenzo De Luca in aggiunta a quello del Covid-19.

Sessantamila pizze il primo giorno di riapertura delle pizzerie: se prendiamo per buono questo numero, è grande la risposta della città di Napoli dopo quasi due mesi senza pizza al piatto. Ma anche stimando al ribasso la conta delle pizze, è innegabile la grande partecipazione che ha avuto questo “evento”. L’insieme di carboidrati complessi più amato del globo, quello più venerato perlomeno in questa regione (se la gioca con la pasta) è stato trasformato più e più volte in ottimi esempi di pizza casalinga, di cui vi abbiamo dato svariate ricette, metodi e tutorial. Ma niente potrà sostituire la perizia e l’esperienza del pizzaiolo, inutile girarci intorno.

Sessantamila: che numero. Dal sapore manzoniano, Il Mattino l’ha chiamato “l’assalto ai forni“: per una volta sono state le pizze ad assalire noi, nelle nostre stesse case. Con l’esclusiva formula di sola consegna a domicilio con fattorini propri ovvero servizio di delivery attraverso piattaforme apposite (UberEats, Glovo, Deliveroo, Just Eat, etc) le pizzerie napoletane hanno portato spicchi di passione e di normalità tra vicoli e vicarielli, nelle case delle persone. Mi piace immaginare che l’odore della pizza abbia risollevato un morale ormai a terra, abbia fatto sorridere anziani e fasce deboli della popolazione rinchiusi giocoforza in casa, fatto staccare la spina dai pensieri a madri e padri di famiglia preoccupati per il futuro economico e non delle proprie case, mi piace immaginare che una pizza abbia potuto unire due fidanzati separati dal lockdown, uniti dagli scatti delle pizze fumanti appena recapitate a casa. Ancora, mi piace pensare che la pizza sia la consolazione di chi sta passando questo interminabile e duro periodo a casa, da solo.

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Sessantamila pizze in un giorno dicono tutto del nostro rapporto con pizzerie, pizze e pizzaioli: tutti siamo utili, nessuno è indispensabile, ma quanto ci è mancata la pizza, quello che per noi significa? Ci è mancata la pizza golosa, dove aggiungi quanti più ingredienti possibile; quella “studiata”, dove calcoli al millimetro le proporzioni tra gli ingredienti, quella comfort, oppure ancora la Margherita da addentare appena tornati a casa. La pizzeria è stata per decenni il punto d’incontro nei quartieri (“Ci vediamo, all’angolo, vicino alla pizzeria?”), il pizzaiolo la persona sempre “informata sui fatti” (“dove abita Tizio? Quando passa, puoi dirgli che lo cerco?”); la pizzeria sotto casa è stata spesso il primo luogo dove mandare i bambini a mangiare qualcosa, responsabilizzandoli sotto l’occhio vigile del personale, oppure dove abbiamo passato le prime serate, in tenere tresche adolescenziali, salvo poi diventare anche il primo lavoro di qualcuno: alzi la mano chi non ha nemmeno un amico che per qualche mese ha fatto ‘o guaglione in pizzeria. Qualcuno poi avrà continuato, qualcun altro avrà mollato. La pizzeria – come i bar, come i circoli – sono epicentri della vita dei quartieri e dei paesi. E la pizza, nella sua natura più popolare, è il trait d’union tra ceti sociali, generazioni, affetti.

Dietro la bella retorica del risultato, c’è lo spauracchio di non farcela. Non è semplice per un imprenditore e per un pizzaiolo, decidere se e come riaprire di questi tempi. C’è bisogno di pianificazione, ma anche di una dose di coraggio non indifferente; nel momento in cui poi decidi per il fatidico “sì”, c’è da adempiere ad una burocrazia davvero lunga. Per questi motivi, sebbene su queste pagine si sia sempre caldeggiata l’apertura, abbiamo sempre ascoltato l’opinione di tutti, cercando di prendere spunto da ognuna, per proporre qualcosa di veramente concreto, nei limiti del possibile. Non è semplice, non è una ripartenza completa, sarebbe da sciocchi pensare che i problemi saranno risolti dalle sole consegne a domicilio, con tutte le magagne ed i grattacapi di queste ultime ordinanze. In più, molte pizzerie contemporanee non sono state concepite per l’asporto: un plauso va anche a chi ha deciso – anche altrettanto coraggiosamente – di restare chiuso.

Di sicuro, sessantamila pizze (o qualcuna in meno) di un giorno non risolveranno il problema che c’è dietro l’angolo e che spaventa, cioè un crollo verticale del settore ristorativo (cosa da prendere comunque con le pinze, visto che il 43% degli italiani brama andare a cena fuori. Dovremo vedere quali saranno le modalità che verranno imposte e quanta disponibilità economica ci sarà), ma sono un chiaro, preciso, bellissimo simbolo di quella che si spera sia una prima ripartenza.

Sessantamila pizze non sono un numero definitivo e soprattutto c’è da aspettarsi che nei prossimi giorni la foga si assesterà, i numeri caleranno e si stabilizzeranno, raggiungendo di sicuro proporzione più dimensionate. Ma ci piace pensare che qualche sera – qualche sera, almeno! – si possa distogliere lo sguardo dalle notizie che riportano un virus dalla vaga forma di corona, per sorridere ad una pizza fumante.

Buona fortuna, pizzaioli. Non solo state cercando di salvare il salvabile (e col tempo, vedremo chi ha ragione), ma insieme a tanti altri state dando un po’ di normalità anche a noi.

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