L’occasione persa dai pizzaioli in TV nazionale su Report

l’anno zero della pizza è ogni giorno, non serve essere compiacenti di presunti meriti altrui

Rubrica di Francesca Brunzo — 1 anno fa

“Ancora tu
Non mi sorprende, lo sai
Ancora tu”

Non posso negare di avere in mente questo pezzone di Battisti dal momento stesso in cui mi sono sintonizzata su RaiTre, lunedì 21 novembre, per la puntata di Report sulla pizza a Napoli.
Sì, sì, d’accordo e lo so: parlarne non aiuta niente e nessuno, piuttosto serve solo ad alimentare il gioco; non è manco piacevole far sì che la comunicazione venga monopolizzata da un unico e solo argomento; e concordo pure sul fatto che a volte si dovrebbe solo lasciar andare, far fluire qualunque cavolata.
E allora mi sono fermata e mi son detta di prendermi del tempo perché mi sono fatta travolgere dalla (vana) speranza che prima o poi si sarebbe messa a fuoco sta puntata e magari si sarebbe provato a staccarsi dall’atteggiamento di attacco e/o difesa approcciandosi invece a qualcosa che somigliasse di più ad una inquadratura del problema fatta a campo lungo o lunghissimo, non costantemente a un primo – se non primissimo – piano.

Ma non dovevamo non vederci più?

Dopo 8 anni Report torna a Napoli per la pizza, dopo 8 anni da quella puntata distruttiva sulla pizza napoletana con tutti i suoi difetti ed i suoi limiti, con le disattenzioni e le problematiche di un comparto ancora poco attento ad una serie di dettagli che fungevano da divisorio (ancora) con il mondo della ristorazione; dopo 8 anni dal quel 2014 in cui i sintomi ed i segni di una rinascita erano ben più evidenti rispetto alla situazione odierna in cui possiamo ben dire che quel cambiamento è giunto all’apice. Capiamoci subito: non c’è alcun dubbio che le problematiche che vennero sollevate da Report nel 2014 fossero serie ed evidenti, si parlava di cottura, condizioni ed utilizzo dei forni, cancerogenicità, qualità degli ingredienti, selezione di materia prima. E “tanto serie e tanto evidenti parevan” che infatti in tanti si erano già mossi – ma anni, ANNI, prima – nel cercare di cambiare qualcosa in questo comparto, un qualcosa che ha sempre dell’incredibilmente folle pensando al modo di fare tutto italiano e nel dettaglio particolarmente napoletano di credere che la propria tradizione sia l’assoluta verità detenuta.

Non voglio certo elencare – con annesse motivazioni, anni ed eventi – nomi già troppe volte citati in questi giorni e che hanno veramente impattato sul mondo e sulla concezione e della pizza e della figura del pizzaiolo. E non dal 2014 bensì con radici fortissime che riportano almeno a 5, 10 e 15 anni prima: l’introduzione di passisti e controllo qualità, le collaborazioni con enti ed istituti regionali, nazionali ed internazionali al fine di ricercare e poter applicare non solo la qualità ma anzi concentrandosi sul benessere del cliente tanto dal canto salutistico quanto dal punto di vista del miglioramento di carattere esperienziale. Parlo dei “capostipiti” di vere e proprie scuole, parlo di coloro che hanno innalzato la qualità della pizza rendendola veramente contemporanea nel senso più vero cioè nell’essere al passo con i tempi in termini di continuità con il territorio, di coerenza e identità ma soprattutto di rispetto per il cliente e la trasparenza nei suoi confronti.

E come stai? Domanda inutile. Stai come me.

“Sono curioso: voglio proprio vedere come faranno questa volta ad ignorare il lavoro e l’impegno di tutti i pizzaioli napoletani, i veri autori, insieme all’informazione di qualità, di questa crescita qualitativa che ora il metodo report tenta in parte di spacciare come suo metodo.”

Recitava così il post di Salvatore Salvo alla vigilia della messa in onda di Report.

Ebbene, dopo 8 anni Report ripassa per Napoli e la pizza e succede che s’innesca lo stesso meccanismo ridicolizzate

ATTENZIONE! Non è Bernardo Iovene a farlo, ma proprio per nulla. Stavolta a caderci sono davvero gran parte dei coinvolti: intervistati e smicrofonati, pizza e pizzaioli, giornalisti e trasmissione.
Non c’è bisogno di far classifiche e capire il grado di colpa sulla base della parola detta o taciuta, nella misura del tono o dello sguardo. Tutti hanno mirato allo stesso punto: visibilità e chiacchiericcio. E mi direte – e ci diremo – che sono riusciti brillantemente se siamo qui, ma c’è da dirsi pure che ancora una volta a farne le spese è la pizza!

Report porta a casa il suo solito lavoro con un bel servizio che dell’inchiesta ha molto poco ma fa il suo (s)porco lavoro: audience, stampa, social, passaparola.

Certo, è stato imbarazzante come e quanto abbia peccato di autoreferenzialità nell’attribuirsi costantemente dei meriti (leggete il nostro pezzo al riguardo.).

Ah no, c’erano i pizzaioli a farlo!

I pizzaioli infatti hanno tenuto banco… a favore di Report! Grandissima parte degli intervistati si è prestata a questo gioco indecente in cui si raccontava – e stavolta senza alcuna ombra di sacrificio e rivalsa sociale – quanto fosse stato fondamentale l’apporto e la spinta del primo tour.
Un giro, quello del 2014, che aveva generato malcontento per le testate giornalistiche e gli enogastronomi che – ad oggi si scopre – avessero ritenuto opportuno difendere la pizza napoletana in quel momento seppur consapevoli del peso dei problemi “denunciati” dal programma; dunque invece di fare la giusta informazione hanno scelto di dare ragione agli offesi e incavolati che però – lungimirantemente – da quel momento gli avrebbero fatto gioco.
Resterei sintonizzata perché magari a breve ci si potrebbe anche sentir dire che dopo Report è nata l’idea di collaborare per dare alla pizza una resa migliore.

Hai già mangiato o no? Ho fame anch’io

All’indomani della trasmissione, è ancora Salvatore Salvo a sentire di dover dire qualcosa, pur non avendo preso parte al servizio ma conscio di una serie di concetti che fanno un quadro più veritiero:
“La delusione maggiore di ieri sera? La scarsa consapevolezza dimostrata dai pizzaioli napoletani nonostante la crescita di questi anni. Report ha portato a fare affermare ai pizzaioli che a seguito del primo servizio del 2014 – in cui si mostrava solo la realtà peggiore delle pizzerie napoletane – ci sia stata una svolta motivata proprio da quella trasmissione. In realtà nel 2014 Report omise di raccontare una rivoluzione che era già iniziata e che poi a cascata ha influenzato tutto il mondo della pizza, compresi i più giovani colleghi. All’epoca noi, o altri colleghi come Enzo Coccia e Franco Pepe ad esempio, già avevamo come prassi la selezione di prodotti d’eccellenza del territorio, lo studio delle farine (che spesso hanno contribuito a dare input ai mulini per ampliare la propria gamma), l’attenzione e la ricerca tecnica sugli impasti, la selezione di oli di qualità da abbinare alla pizza e l’attuazione dei protocolli sanitari per l’igiene e la pulizia degli ambienti di lavoro.
Oggi è solo tutto più diffuso, ma non nella totalità delle pizzerie, e quindi non tutte le pizze consumate in Campania hanno ancora tali standard.
Eppure, su tutto questo manco una parola e i pizzaioli presenti secondo me hanno perso una grande occasione: invece di presentarsi con orgoglio come portatori di qualità crescente nel tempo – e scegliendo di spiegarla al meglio, per mettere in condizione i consumatori di riconoscerla e pretenderla – si sono accontentati di un ruolo assolutamente subalterno, presentandosi come quelli che per capire come andasse fatto il loro lavoro hanno avuto bisogno di una puntata di Report.
A me sembra un clamoroso autogol. Pecchiamo di immaturità nonostante la crescita.”

In tutta onestà però, la cosa più inaspettata sono stati i mitici che pur non apparendo hanno voluto provare a sfruttare la situazione per dire “Grazie Report”, e ciò mi fa pensare a ben due fatti:
1- non è stato un “taglia e cuci” (in quel caso, non dico tutti ma uno degli intervistati avrebbe pure ritenuto fosse il caso di pronunciarsi sulla mancata veridicità del proprio messaggio. E invece…)
2- il valore, la coerenza, il successo e la professionalità non ti vengono dati da microfono e telecamera né dall’acqua di Napoli o dalla mozzarella di Caserta.

Decisamente encomiabili Alessandro Condurro e Francesco Martucci: entrambi ineccepibili nel non abbassare lo sguardo, nel non rinnegare manco lontanamente la loro filosofia di pensiero e questo può accadere solo quando si è pienamente consapevoli di quanto si sta facendo.
Alessandro, da bravissimo imprenditore, sa quello che dice e lo ripete incessante: “questo è il prodotto, questi sono i prezzi, queste sono le scelte!” e per me non c’è altro da aggiungere a quella che non è mancata voglia di migliorarsi quanto più la risposta ad una domanda semplicissima: c’è davvero bisogno di cambiare? Numeri, aperture, Michele in the world sembra proprio dicano di no. Perché? Ma perché Alessandro sa anche quello che fa e dunque il caro buon vecchio marchio di Michele è anche simbolo di una scuola di pizzaioli, oltretutto ha un volto “nascosto” che è quello di Antonio Falco che si occupa della formazione di coloro che svolgeranno poi a pieno regime il lavoro nelle varie aperture del brand mondiale. E fortemente sticazzi dell’olio di semi se questo è il risultato. Fare l’imprenditore è questo: intercettare che quel tipo di pizza avrà sempre e per sempre il suo pubblico perché ormai consolidata e forte nella sua storia e nel suo mito ma soprattutto perché continua a essere la pizza più altamente riproducibile e standardizzabile.

Mani di Velluto (I Masanielli - Francesco Martucci)

Francesco da eccellenza tra i pizzaioli non sente di sottolineare null’altro che quello che tutti i giorni chiunque può vedere recandosi da lui: Martucci che ammacca. Incredibile che non ci sia un solo secondo di montato che lo riguardi in cui stia a favore di camera e non di banco; non c’è un attimo in cui nel suo sguardo non vi sia il richiamo a tenere tutto sotto controllo, a regime, nei suoi standard, con le sue semplici regole: lavorare e non voltarsi mai indietro, perseguire un futuro che sia fatto di passi che inseguono la perfezione anche se Francesco sa benissimo non esistere ma sa anche che starle sempre alle costole fa bene alla spinta che lui in primis ricerca e che solo assaporando riesce a ritrasmettere.
E infatti Martucci non si piega a giochini, anzi non perde la sua ironia né la sua sfacciata coerenza lanciando un rapidissimo riferimento al precedente servizio. Non è semplicemente essere sicuri di sé o del prodotto, piuttosto è averne profonda conoscenza, è spingersi costantemente oltre le proprie capacità al fine di renderle peculiari e sfruttarle intensamente.

Che bella sei, Sembri più giovane o forse sei solo più simpatica

Eccoci: la CONTEMPORANEA!

La vera protagonista della puntata, il vero scopo di tutto sto circo, la pizza in tutta la sua più normale evoluzione che viene trasformata in un’arma bianca per smuovere le “maturazioni” dei pizzaioli più che delle pizze.
Ne ho sentite di ogni sull’argomento e ne ho sentite di simpatiche ma pure di vergognose, perché in un comparto in cui si sta ancora cercando di risanare insicurezze e luoghi comuni – e che ben spesso finisce per ricadere esattamente in ciò che prova a combattere – tra colleghi di ogni campo si pensa ad adagiare la buccia di banana anziché capire che se si corre tutti insieme nella stessa direzione forse l’effetto domino potrebbe essere più probabile (e devastante) di quanto si possa prevedere.
Nonostante ciò, qualcuno che ha provato a veicolare messaggi positivi c’è stato.

È il caso di Francesco Salvo che sottolinea che non serve definirsi contemporanei per praticare certi approcci, e lo fa così:
“Altra cosa di #Report di ieri sera:
Pizza contemporanea = wow
Pizza tradizionale = dinosauri in via di estinzione. Anzi animali da sopprimere.
Perché? Dove sta scritto? Noi che apparteniamo, con orgoglio e convinzione, al secondo gruppo abbiamo in questi lunghi 3 lustri (ben 15 anni ormai!) affrontato tutti i temi relativi alla pizza con approccio scientifico, metodico, sistemico, sperimentale sempre teso a dare la risposta al perché delle cose e non liquidando tutto con “abbiamo fatto sempre così”. Ci vuole rispetto! Anche se poi stiamo notando con sommo piacere che alla fine le mode passano in men che non si dica.”

Forse però il più incisivo – sarà per l’esperienza e la storia che porta la sua Pizzeria Gorizia 1916 o forse solo per l’eleganza ed il rispetto che porge sempre al settore, alla pizza e alle persone – è Salvatore Antonio Grasso:
“Prima era napoletana… poi gourmet… poi tradizionale … poi contemporanea…
Volta e gira sempre na pizza è!
Per me qualunque impasto ben lievitato, tondo e cotto in un forno è una pizza. Non fa differenza! Non vedo il motivo di etichettare, insistere e cercare di fare leva su quella che ad oggi è chiamata contemporanea. E non perché non meriti attenzione, quanto perché questo debba essere associato allo sminuire la napoletana che ha una propria identità ed una tradizione inaffondabile: dalla stesura, alla cottura, alla temperatura, all’utilizzo del forno a legna che resta la parte più romantica ma anche la più complicata da gestire per manutenzione e, diciamocela tutta, per complessità di utilizzo.”

Sei ancora tu, purtroppo l’unica!

Giustamente volete sapere perché a perdere è la pizza.
Semplice, perché stiamo portandola a non avere identità ma solo volti. “Il pizzaiolo è diventato il vero motivo per cui scegliere una fila da fare”, vi ho detto qualche mese fa.

Io capisco pienamente quando leggo che in ogni caso Report fa bene perché spara direttamente con i riflettori e alla fine questo fa sì che si arrivi a spostare flussi, per curiosità sana o malfidata ma si muovono.
Allo stesso modo capisco che deve essere stato quasi dovuto l’ammettere che Report 2014 abbia rappresentato l’anno zero della pizza.
Mi spiego: quanto passato su Report nel 2014 ha sollevato grossi dubbi sulla salubrità di alcune tecniche ed utilizzi e (seppur non fosse tutto provato e provabile) ciò aveva comunque pesato sull’opinione del pubblico spettatore medio. Dunque, posso comprendere che a distanza di 8 anni e con qualche certezza extra su quanto di vero ci fosse in quelle “denunce” e con la necessità di rimettersi in asse con quanto fatto nel frattempo a dispetto di quanto detto precedentemente… beh, sia andata così.
Ovviamente chi guarda la TV – vorrei ricordarlo – è molto più ampio della piccolissima realtà in cui noi viviamo grazie al bellissimo lavoro che svolgono gli algoritmi dei social che ci veicolano in questo mondo parallelo in cui è sempre più scontato che tutti sappiano di cosa si stia parlando ogni qualvolta c’entri la pizza.
Ecco che mi parte il problema che non è chi sa già le cose e sta in questo mondo. Il problema è che quel programma è a diffusione nazionale e veicola quei messaggi a gente comune e che normalmente è totalmente fuori (grandezza di Dio!) dalle dinamiche di questo amato e strano “mondo pizza”; dunque quello che arriva e resta ai più è ciò che è stato riportato su Rai Tre e che risulta essere la sola verità.

La Margherita doppia mozzarella (Da Michele Yokohama)

Sono state vergognose troppe cose, dette e lasciate intendere ma sopra ogni cosa il modo in cui sono riusciti tutti a sminuire la professione ed i professionisti mortificandone il prodotto.
Si è sprecata un’altra occasione per poter dire bene e che non fosse sul trend di argomenti sterili e che ci hanno ammorbati come territorialità e qualità, esistono esattamente nella misura in cui non esistono: ovunque, in ogni singola provincia della Campania ci sono talenti, giovani e non, con visione e progettualità, con materie prime di eccellenza e personalità ed al contempo esistono luoghi e persone che fanno questo lavoro mancando della stessa attenzione per una valanga di svariati motivi.
Lo standard si è alzato indubbiamente perché esistono due cose: eccezioni e sagacia. Le prime ci mettono dinanzi a persone che possono cambiare per davvero il corso delle cose, la seconda è quella che rende possibile la diffusione e che appartiene a coloro che sanno coltivare perseveranza e curiosità. E allora lo capiamo, almeno chi nel mondo pizza ci sguazza, che l’anno zero è ogni giorno? Che è grazie a informazione e diffusione di cultura che i giovani si appassionano e si ispirano e cercano di saperne di più e magari hanno intuizioni che generano eccezion e sagacia di domani. Il cambiamento sarebbe avvenuto in ogni caso perché è quello che la natura offre nel suo normale percorso, così come una volta giunti nel punto più lontano si sente la mancanza dell’esatto estremo opposto.

Spiegatemi altrimenti il ritorno alla ruota di carro con impasto “contemporaneo”. Anzi, no, per favore non me lo spiegate!

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