Pizza in provincia: 5 preconcetti non ancora superati
Da "che ci vuole a fare una pizza!" a "pizzetta tutto cornicione", qualche mito da sfatare
Rubrica di Francesco Pagano — 2 anni fa
Due anni fa scrissi il mio primo articolo dedicato alla pizza ed era un pezzo che mirava a raccontare le difficoltà del delivery in provincia. Erano tempi di pandemia, ore cupe che forse ci siamo lasciati alle spalle. In quell’occasione iniziai a raccontare il modo in cui la provincia vive questo alimento dalle mille sfaccettature: quell’idea è stata la miccia che ha scatenato nella mia testa un caleidoscopio di possibili argomenti che collegano la pizza alla provincia, alla periferia, a tutti quei luoghi lontani dalle grandi realtà metropolitane e dal tumulto creativo di centri urbani ricchi di concorrenza, di opportunità, di ispirazione. E a tal proposito come non menzionare quindi i preconcetti sulla pizza che in provincia – e forse non solo lì – sono ancora spesso presenti anche se stanno via via scomparendo.
Spero innanzitutto di non essere frainteso con il termine provincia: non si tratta di razzismo territoriale (io abito proprio in provincia) o elitarismo ma solo di un modo per dare una forma a concetti e tematiche che si possono trovare nei luoghi dove le novità del mondo arrivano con leggero ritardo ma anche col vicino di pianerottolo o tra colleghi in ufficio.
La pizza in provincia è diversa o meglio viene spesso vissuta diversamente. Pur conoscendo il mercato e avendo, tramite canali diretti o social (e ovviamente Garage Pizza), uno spaccato di quello che sono le mode e le novità del momento, non capita di rado che alcuni clienti vivano la pizza in una maniera che risultare anacronistica. Le cose stanno cambiando ma esiste una frangia di pubblico e/o addetti ai lavori convinta di alcuni dogmi o verità presunte che vanno in certi casi in controtendenza rispetto alla contemporanea storia della pizza.
Di sicuro conoscete più di una persona che in qualche caso ha esordito con una di queste frasi… per loro e per voi, un po’ di chiarimenti:
I luoghi comuni… più comuni
Dopo una nottata passata a mettere insieme le idee, ho recuperato, scorrendo tra le pagine di Garage Pizza, un articolo del nostro Antonio Fucito che andava proprio a centrare alcuni dei punti che avevo segnato in scaletta. La “vera” pizza è solo a Napoli, il forno a legna è il migliore, il costo della pizza troppo alto (o basso se ascoltiamo Briatore, ndr) e la presunta superiorità dello stile “napoletano” sono i punti che ha toccato Antonio e che non approfondirò nuovamente qui, ma che vi invito a leggere (troverete il link alla fine di questo articolo).
Esistono, dicevamo, altri cliché forse meno diffusi che fanno parte di una concezione non più contemporanea della pizza e che pesano ancora sulle spalle e nella testa di chi mangia o lavora nel mondo dell’arte bianca.
La pizza fa male alla salute
Evito di entrare nel tecnico e cerco di essere quanto più sintetico possibile. Anche perché qui su Garage Pizza c’è Francesco Margheriti che con le sue competenze mediche ha più volte affrontato l’argomento nella cornice della rubrica pizza e salute. Per riassumere studi, analisi di dati e affini sui presunti principi benefici o cancerogeni della pizza ci vorrebbe più di un libro.
Nel concreto – e non prendete questo come un sunto ma come uno spunto per approfondire – a chi dice che la pizza fa ingrassare o fa male alla salute va risposto un nì. Esistono infatti benefici e persino ricette di pizze “anti-tumorali”.
Tuttavia è innegabile che una dose eccessiva di pizza, come di qualunque cibo, non può essere salutare. Ma in alcuni casi la pizza, come strappo settimanale alle regole, è inserita perfino nei regimi alimentari (come è capitato a me quando ho dovuto riequilibrare le mie abitudini di alimentazione, ndr). La pizza, come molti dei cibi che vengono demonizzati basandosi su concetti e argomentazioni sommarie, non può essere vista come solo come un nemico della salute e della linea.
Più condimento uguale più sapore
Piatti ricchi, strabordanti di ogni bene, portate luculliane degne di un banchetto regale del Rinascimento. Sono queste le immagini che storicamente la cultura nostrana e il subconscio, identificano come soddisfacenti per il palato oltre che per gli occhi. La tendenza sta cambiando, ma la pizza stracolma di topping con la mozzarella che fila oltre misura, l’olio che cola nel piatto o nel cartone per qualcuno sono indice di maggiore sapore, di maggiore bontà.
Ma chi conosce i discorsi e i libri sull’argomento sa che la pizza è una questione di equilibrio di sapori. Spesse volte mi è capitato in passato di vedere delle pizze con così tanto condimento sopra che non riuscivo a capire cosa stessi mangiando. Mettere “a sentimento” (a piacere direbbe qualcuno) gli ingredienti non funziona più, o meglio non fa più parte delle consuetudini della pizza contemporanea.
Oggi un filo d’olio in più o in meno fanno la differenza tra gusto ed eccesso. La quantità proporzionata e l’armonica disposizione degli ingredienti sul disco di pasta esaltano i sapori e fanno capire che il maestro pizzaiolo ha cura e attenzione per quello che sta offrendo ai suoi ospiti.
Che ci vuole a fare una pizza?!
Un po’ di farina, qualche girata in forno e via. Che ci vuole? Sottovalutare il lavoro altrui avviene più spesso di quanto si possa pensare. E solo chi ha messo le mani in “pasta” davvero può capire. Un luogo comune, quello della facilità di creazione, che non tiene conto dello studio sul prodotto e la preparazione, la ricerca degli ingredienti e la loro combinazione, la maturazione dell’impasto, il bilanciamento dei sapori.
Più in generale, spesso ci si dimentica di quanto siano complessi i lavori collegati alla ristorazione: fare una pizza non è entrare alle 18:00 nel locale e star lì a maneggiare la pasta fino a notte. I pizzaioli più bravi e appassionati lo fanno sembrare facile e divertente ma per chi ha toccato con mano quella fatica e soprattutto il sudore di partire dal basso con la propria attività sa che la pizza non è facile da fare (e non a caso abbiamo un sacco di ricette per aiutare i pizzaioli casalinghi).
Ancora di più oggi, in un periodo in cui la pizza è sotto la lente dei clienti ed esperti, il pizzaiolo ha una serie di responsabilità in più e sbagliare una pizza può portare molta cattiva pubblicità. Senza poi considerare la gestione del forno a legna, una vera sfida ogni sera per la necessità di dover tenere la temperatura il più stabile possibile non potendo contare su un regolatore, ma dovendo affidarsi alla propria esperienza e sensibilità per aggiungere al momento giusto un altro ciocco di legna. Con gli altri tipi di forni la situazione è migliore, ma mai sottovalutare il lavoro di nessuno.
La pizza a casa si fa troppo fredda
Il delivery è una realtà dei nostri tempi e dove non arriva la consegna ci pensa il servizio d’asporto. Tutto perfetto per chi non vuole sedersi in pizzerie a mangiare. Eppure c’è chi si è trovato spesso a lamentarsi della qualità e temperatura della pizza portata a casa. La pizza portata a casa è troppo fredda, diventa gommosa. Ne ho sentite svariate di affermazioni simili ma anche qui bisogna dire che la risposta è un nì.
È innegabile che il trasporto di un cibo così umido nella confezione possa creare qualche problema di mantenimento della fragranza se lo si vuole gustare a casa, specie se la distanza percorsa dal cliente (o dal rider) è discreta ma è anche vero che oramai anche per i privati esistono box termici che aiutano a preservare il più possibile la qualità e il calore della pizza fino alla tavola di casa.
E anche i possibili difetti che si creano nel cartone sono stati affrontati da alcuni pizzaioli che hanno studiato impasti e preparazioni pensate appositamente per la pizza d’asporto, come nel caso di un pizzaiolo di Battipaglia in provincia di Salerno. C’è da dire poi che una pizza buona è buona anche fredda, anche il giorno dopo o può sempre essere migliorata seguendo i nostri consigli.
Una “pizzetta” tutto cornicione
Quando ho iniziato ad appassionarmi all’arte della pizza, incominciando a capire le differenze di qualità e di prodotti, ho cercato di coinvolgere quelli che erano i miei conoscenti e amici per conoscere le nuove mode della pizza napoletana facendo provare loro delle pizzerie che andassero in una direzione precisa. Ed è in quelle occasioni che le dimensioni meno generose e il gonfiore perimetrale della pizze “a canotto” hanno fatto storcere qualche naso.
Una pizzetta tutto cornicione, così l’ha chiamata qualcuno. Ovviamente questo si riferisce soprattutto alle pizze fatte nello stile sopracitato ma il discorso si può allargare anche al filone delle pizze Gourmet. Le dimensioni della pizza non sono determinanti, la forma non è un indice di bontà.
Ovviamente fino a questo punto abbiamo parlato di dogmi, non di gusti personali, non siamo qui a impedire a nessuno di dire “a me questa pizza non piace” o “non gradisco questo abbinamento di sapori”. Come promesso, concludiamo l’articolo segnalando l’articolo sui luoghi comuni scritto da Tanzen così da completare questa lista di luoghi comuni e argomenti che potrebbero anche arricchire le vostre conversazioni durante l’attesa della pizza.