La pizza napoletana rappresenta, indubbiamente, uno dei motivi di orgoglio del Bel Paese: morbida, gustosa, cedevole al morso, il suo impasto si fonde con gli ingredienti e avvolge col suo sapore. Per questo ha conquistato il palato di persone di tutti i ceti sociali, che non disdegnano di provarla in qualsivoglia posto si trovano, fino a cercare di replicarla nel forno di casa (e grazie a lievitamente – il festival della pizza fatta in casa, abbiamo inquadrato questo fenomeno.). Ne abbiamo anche ricercato le origini storiche, fino a trovare i primi due libri che hanno parlato della Pizza in versione moderna, quella che ancora oggi mangiamo con le dovute modifiche e aggiornamenti.
E ci sono tante motivazioni che permettono di definire Napoli la capitale della pizza nel mentre che gli altri inseguono ancora, come scritto nell’articolo appena segnalato.
Tale orgoglio per la pizza napoletana, però, si traduce talvolta in alcuni fondamentalismi che in realtà arrecano “danni” alla sua stessa diffusione in ogni angolo della Terra.
Sfatiamo innanzitutto un mito: in tanti altri paesi, come ad esempio il Giappone, ci sono ottime pizzerie e bravi pizzaioli, italiani e non, in grado di sfornare un disco di pasta che non fa rimpiangere di essere a centinaia (migliaia!) di km di distanza dalla Casa Madre. Non ci credete? Allora buttate un occhio alla nostra pagina del Pizza Advisor dedicata alla sola Tokyo per farvi un’idea.
Ma quali sono questi luoghi comuni di cui vi sto parlando?
La pizza napoletana “Vera” si fa solo a Napoli
Messa in questi termini significa davvero poco, ma non avete idea di quante volte ho letto oppure ho sentito questa frase in calce ai post dei Social Network e nelle conversazioni tra persone!
Cosa si intende per “vera”, innanzitutto? Certamente è condivisibile che un locale storico, l’esperienza del pizzaiolo e ingredienti super freschi possano dare quella marcia in più che non comprende solo il sapore della pizza stessa, ma tutta l’atmosfera che vi è intorno. La Casa Madre, appunto, la mecca che tutti gli appassionati prima o poi sentono il bisogno di visitare.
Detto questo, oramai le distanze si sono abbattute, i prodotti viaggiano velocemente, le alternative locali (alcune) non mancano, i pizzaioli nostrani sono partiti alla conquista del mondo, così come quelli degli altri paesi hanno studiato le fondamenta di questa pizza magari venendo in Campania.
Il bello della pizza napoletana sta proprio nel suo nome e cognome, è un “brand” riconoscibile, apolide ma con una genesi ben precisa: è di questo che bisogna essere orgogliosi, perché rappresenta un’eccellenza che pone Napoli e l’Italia in una posizione di rilievo nel panorama gastronomico mondiale, amplificandone l’appetibilità turistica.
Qui sotto un Ripieno di una pizzeria giapponese e una margherita cotta nel forno elettrico.
…è buona solo nel forno a legna
Mi riallaccio al punto di cui sopra, per sottolineare l’atmosfera impareggiabile di una cottura con fiamma viva, l’estetica inarrivabile di un forno costruito mattone su mattone, l’odore in sala generato da questo tipo di cottura. Ma pur concordando con la definizione appena enunciata, non bisogna fermarsi a tali frasi fatte, perché si può ottenere un grande prodotto anche con un forno a gas oppure elettrico sapientemente costruiti per una cottura a temperature adeguate. Pensate a chi non può installare una cappa di aspirazione canonica, alla bravura necessaria nel gestire la legna (la figura del fornaio è sempre più richiesta), a tutti gli altri fattori collegati.
Viva la diversità di offerta, come vi spieghiamo nell’articolo dedicato ai pro e i contro delle diverse tipologie di forni.
Se la Margherita costa più di 4-5 euro, è un furto
La più classica delle frasi fatte, quella degli “scienziati” che non considerano minimamente le dinamiche di una pizzeria. Banalmente una Margherita con filetto di San Marzano e fiordilatte di qualità non è paragonabile come costi ad una che ospita un generico pomodoro italiano e mozzarella, eppure i fondamentalisti ignorano completamente il costo differente degli ingredienti.
Bisogna altresì considerare il ricarico dell’eventuale esportazione del prodotto, il posizionamento sul mercato (ebbene sì), spese quali l’affitto del locale e il personale in regola, che incidono in maniera differente a seconda di città e paese. Palese poi che qualcuno ci metta un ricarico più o meno “corretto eticamente”, ma sparare frasi come quella oggetto di questo punto è francamente inaccettabile.
La pizza napoletana è l’unica buona e degna di essere chiamata pizza
Possiamo affermare che nelle espressioni massime è la più buona in assoluto (per me lo è, pur rimanendo un parere soggettivo) ma esistono una miriade di declinazioni di pizza eccezionali, da quella in pala alla teglia, passando per le scuole ibride che reinventano la ruota a quelle provenienti da altri paesi. Non tutti i gusti sono identici, non tutte le aspirazioni al morso sono uguali…se proprio volete essere così intransigenti, non meravigliatevi se poi qualcuno vi prende in giro per la vostra poca apertura mentale.