In un articolo di qualche tempo fa ho provato a sfatare le certezze e i luoghi comuni da parte degli integralisti della pizza napoletana, quelli che pensano sia l’unica degna di essere chiamata pizza, che si possa fare solo a Napoli e che non ci siano alternative all’altezza. L’ho scritto ovviamente con conoscenza basata sull’esperienza, considerando la quantità di pizze che ogni anno mangio in giro per il paese e all’estero (a tal proposito, leggete ad esempio le 30 pizze più buone che ho mangiato nel 2021).
Oggi però facciamo il percorso contrario, perché se esiste una differenza ancora percepibile tra la pizza che si mangia nella città partenopea e il resto, è proprio nelle declinazioni più classiche e conosciute, spesso e volentieri quelle più ordinate da parte degli avventori. Marinara, Margherita, Salsiccia e Friarielli, Ripieno (calzone), Capricciosa, Pizza fritta e tutti quegli abbinamenti che pongono le radici nella tradizione: c’è ancora tanto da lavorare una volta che si è lasciati il Vesuvio alle spalle.
Non di rado ci sono periodi in cui decido di fare una bella ripassata delle pizzerie storiche più interessanti, andando oltre quelle ottime e quotate come l’Antica Pizzeria da Michele, Starita a Materdei e Sorbillo, o quelle più moderne ma con solide fondamenta classiche come 50 Kalò e I Fratelli Salvo.
E così mi sono diretto alle spalle di Piazza del Plebiscito da Pizzeria Pavia, che porta nel piatto tra le tante la Pizza Scarpariello, che richiama un sugo napoletano che mi fa letteralmente impazzire. Provatelo, e preparatevi ad una sorta di orgasmo di sapore che pone in realtà le radici nella semplicità e che nella declinazione pizzologica provata era con misto di datterini gialli e rossi, fiordilatte, parmigiano reggiano e pecorino: cottura perfetta, disco di pasta sottile, sapore eccezionale.
Sotto i porticati di via dei Tribunali è possibile sedersi presso Pizzeria del Purgatorio e mangiare una Margherita generosa nel condimento, saporita con l’aggiunta di parmigiano (a Napoli esistono due scuole di pensiero, chi lo utilizza e chi no. Io gradisco, eccome) e apprezzare l’atmosfera di una delle vie dei decumani che oramai esplode di turismo, anche nei difficili tempi di Pandemia.
Spostandosi in zona Duomo – tappa assolutamente obbligatoria comprensiva del museo del tesoro di San Gennaro – c’è 1906 Imperatore, brand famoso già negli anni ’90 per la rosticceria e che in questa pizzeria propone una lavorazione classica con impasto diretto e un cornicione più generoso ma mai preponderante, con tempi di lievitazione lunghi: la Salsiccia e Friarielli ripassati, è un esplosione di sapore come poche tipologie di pizza possono dare.
Dall’altro lato, quasi al confine con Forcella, c’è Insolito – la Pizzeria Gourmet con le sue pizze a ruota di carretto dalle dimensioni generose: la Margherita e la Salsiccia e friarielli sono buone, leggere come percezione e su un disco di pasta morbido e sottilissimo.
Spostiamoci nella Sanità, dove sono nate diverse pizzerie negli ultimi anni dopo la diaspora di pizzaioli e staff che ha coinvolto Concettina ai Tre Santi, tra uffici stampa, scaramucce mediatiche e la ricerca di un posizionamento diverso. Una di queste è Antico Borgo ai Vergini di Ciro Pellecchia, una delle espressioni più genuine e senza filtri del quartiere (a Natale ha lavorato, facendo pane per tutti). La pizza, manco a dirlo, è piena manifestazione della sua personalità ed è veracemente ottima: il cuore di Ciro batte per la Sanità.
Napoli è anche pizza fritta e di recente vi ho raccontato della tradizione che la lega anche alla vigilia di Natale e al Capodanno. Le mie due scelte per l’ultimo giro sono ricadute su 1947 Pizza Fritta nella zona di Forcella, tra la classica completa e alcune tipologie “aperte”; e poi su Isabella de Cham Pizza Fritta nella Sanità, che propone un concetto di pizza moderna molto attenta alla qualità della frittura, come ad esempio quella della fritta completa con provola, pomodori, cicoli, ricotta, pepe e basilico.
Abbondandis abbondandum, diceva Totò: prima di partire in treno per casa, e nell’attesa di ritornare, immancabile una pizza a portafoglio da 2 euro, come fosse un brunch, da Pellone in Via Nazionale; e magari, perché no, una sfogliatella di Attanasio da distribuire anche gli amici in altre regioni.
Perché Napoli capitale
Dopo questa sequela estetica di meraviglie gastronomiche, andiamo finalmente al punto. Qual è la motivazione di tale differenza tra Napoli e il “resto del mondo”? Ebbene nasce tutto da un mix tra esoterico e pratico, in parte da una confidenza estrema con i forni, cotture e impasto diretto, la connotazione perfetta del cibo di strada, l’atmosfera delle pizzerie e il contesto in cui si trovano, i profumi che avvolgono le strade (escludiamo il fritto che attacca, però), il sapore puro e impareggiabile (e non si tratta solo di alcuni prodotti freschi dietro l’angolo, ma anche del risultato complessivo), senza farne un discorso solamente tecnico e di leggerezza.
Ma ci sono anche anche una serie di frasi fatte da sfatare: il disco di pasta della pizza napoletana è sottile e non “alto”, soprattutto nella parte centrale; dopo la cottura non presenta né bruciature né parti umide, la consistenza è tutto fuorché gommosa, la lavorazione punta alla soddisfazione del palato senza appesantire particolarmente.
Tutte le caratteristiche di cui sopra arricchiscono l’esperienza complessiva e la posizionano un gradino più in alto, orientando la scelta verso quella Mecca che va visitata almeno una volta nella vita. Scegliendo ovviamente bene, perché in una città che dispone di migliaia di pizzerie da schiaffi ce ne sono, eccome: partite dal nostro Pizza Advisor, costantemente aggiornato nel corso del tempo, per cascare sempre in piedi!
E dando per assunto che i gusti e preferenze sono differenti da persona a persona, anche per abitudine e posizione geografica, mi rivolgo a persone “educate” al palato, appassionate dell’argomento e fan dei lievitati, che vanno anche oltre, quindi, al mangiare pizza per “sfizio” o fame.
Torniamo quindi a gran parte delle Margherite fuori sede: ottime pizze, per carità, ma raramente in grado di scatenare quell’emozione e quella soddisfazione totale, per una svariata serie di motivi. La ricerca della perfezione estetica, che si produce in cornicioni talvolta pomposi ma un po’ monocorde, una mozzarella così “prosciugata” da essere più bianca del bianco, una sapidità attenta alla famosa digeribilità che sacrifica il resto: non è meglio una bella insalata di riso, a questo punto?
Senza dimenticare chi utilizza ore di maturazione aggiuntive non necessarie, e che l’idratazione, se non gestita correttamente, mette pericolosamente a rischio la cottura.
Tali problematiche si riducono all’aumento della complessità delle pizze o nella scelta di farciture fantasiose e uniche, grazie alle quali alcuni di questi aspetti rivestono un ruolo più importante; anzi, in questi casi più volte mi è capitato di uscire insoddisfatto dalle pizzerie tradizionali che provano a fare “abbinamenti gourmet”.
Un appello, infine, ai pizzaioli disseminati per tutte le parti del globo: pizze quali la Margherita e le sue sorelle devono avere sapori riconoscibili, distinti, marcati, avvolgenti: bisogna lavorare su questo aspetto e magari con le nuove conoscenze acquisite creare un “ibrido” moderno ancora più interessante. Altrimenti il rischio è quello di avere sulla carta pizze piatte, sconfessando quella passione che pur ci vuole per dedicare gran parte del proprio tempo a un impasto oppure a un forno.
Nel frattempo la Casa Madre della pizza (napoletana) vi aspetta a braccia aperte ed è sempre pronta a fare breccia nel vostro stomaco, per poi farvi smaltire le calorie con i suoi numerosi posti da visitare rigorosamente a piedi.